Se è vero, come ironizza come ironizza il padre della murphologia Arthur Bloch (1948) che “ciò che comincia male finisce peggio”, allora l’alba del 2019 prelude ad un annus horribilis per i rapporti tra fisco e contribuente.
Sorprende (in negativo si intende) la recente nota di aggiornamento Economia e Finanza del Mef: la pressione fiscale aumenterà in termini percentuali sul Pil.
Al riguardo Tria invita a tener conto del tax rate programmatico al termine della legge di bilancio, che secondo il Ministro dovrebbe risultare diminuito. Ma tant’è. Per ora dobbiamo fare i conti con un cuneo fiscale tra i più vessatori del globo e comunque più vicino all’austerity di Monti e Letta che alla flexibility di Berlusconi e Prodi dei primi anni duemila.
Non è tutto, ovviamente. Per rimanere fedeli agli assiomi di Murphy, “se qualcosa può andar male lo farà in triplice copia”. La fatturazione elettronica è esplosa in tutta la sua virulenza, generando i pronosticati problemi del salto digitale e tormentando il sonno di milioni di imprenditori e professionisti. Questi ultimi, poi, nei prossimi mesi dovranno adeguarsi a pesantissimi e ridondanti adempimenti antiriciclaggio con la minaccia di sanzioni inusitatamente afflittive. Ed inoltre, il decreto fiscale ha esteso i poteri dei verificatori, allargando notevolmente le maglie delle azioni cautelari a garanzia del credito erariale. D’ora in poi anche i verificatori potranno chiedere direttamente al giudice tributario, prima del processo, l’iscrizione di ipoteca e il sequestro conservativo anche dell’azienda. A tanto aggiungasi, a tacer d’altro, la questione di fresca data della sospensione dell’esecuzione delle deleghe di pagamento f24 che contengono compensazioni di crediti di imposta “rischiosi”, secondo una discrezionale valutazione del rischio da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Non stupisce quindi la dannata percezione che i cittadini hanno del Fisco, a volte accompagnata da un censurabile modus operandi dell’Amministrazione finanziaria. E l’arduo compito di gestire le segnalazioni che fioccano in tal senso è devoluto anche alla figura del Garante del Contribuente. Il dott. Salvatore Paracampo è il depositario delle ragioni dei contribuenti (malgrado le armi spuntate a sua disposizione) quale Garante per la Puglia. Di recente Paracampo ha dovuto fronteggiare una spinosa bagarre tra l’Agenzia delle Entrate e un professionista sottoposto ad una serrata verifica fiscale che sosteneva di aver subito a suo dire abusi, irregolarità di varia natura ed episodi di diffamazione da parte dei verificatori. Tanto che si era visto costretto a proporre querela presso la procura competente. Nelle more, era stato comunque attinto da avviso di accertamento, il cui responsabile del procedimento era proprio uno dei funzionari cui veniva imputata la ritenuta condotta vessatoria. Per tali ragioni, il contribuente si rivolgeva con esposto al garante Paracampo, perché quest’ultimo verificasse la nullità o meno dell’atto accertativo spiccato nei suoi confronti per invalidità derivata e attivasse la procedura di autotutela. Così è stato.
“Certamente non spetta al Garante verificare la fondatezza delle querele”, si legge nella risoluzione. A questi compete piuttosto, considerato il dato storico che contiene gli atti di accusa, verificare se vi siano elementi di conflittualità nell’attività dei funzionari attinti dalle denunce. E in base alla legge 241/90, art. 6-bis, il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare atti amministrativi devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni possibile situazione anche potenzialmente lesiva. I dipendenti che violano l’obbligo di astensione sono pertanto responsabili, sul piano disciplinare, per un atto contrario ai propri doveri di Ufficio, fatte salve le ulteriori eventuali responsabilità sul piano civile, penale e contabile.
Le denunce-querele presentate costituiscono un presupposto storico che innesta incontestabilmente un conflitto di interessi tra il contribuente (denunciante) e i dipendenti dell’Agenzia delle Entrate denunciati o querelati, a prescindere dalla fondatezza o meno degli addebiti sub-judice. Questo conflitto è previsto a livello potenziale poiché serve a garantire in via preventiva il rispetto della legalità, trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa.
Ciò detto, poiché non è prevista una specifica disposizione normativa che infici gli atti giuridici compiuti in violazione dell’obbligo di astensione, Paracampo ha egregiamente mutuato i principi propri del procedimento amministrativo. In particolare è stato fatto espresso richiamo all’art. 21-octies della legge 241/90, il quale recita che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge. Tale norma va coordinata con il successivo art. 21-novies, il quale stabilisce che il provvedimento illegittimo ai sensi del 21-octies può essere annullato d’ufficio, susssistendone le ragioni di interesse pubblico.
Se, quindi, come ha ritenuto a ragione il Garante, è “in discussione l’immagine o l’imparzialità dell’amministrazione finanziaria”, vi sono motivi di pubblico interesse per azionare i poteri del Superiore gerarchico per l’annullamento del provvedimento illegittimo. Nella realtà “tutte le persone oggetto delle denunce e delle querele (dirigenti e funzionari) si trovavano in evidente conflitto d’interesse con il contribuente e quindi avrebbero dovuto, in ossequio alla normativa indicata, astenersi dal compiere determinati atti prodromici e dall’emettere l’avviso di accertamento contestato ed informare, doverosamente, il responsabile dell’ufficio sovraordinato”. Tale astensione non vi è stata, per cui si è verificata la violazione della legge ed è stato emesso un atto viziato ab origine, per carenza di potere iniziale e specifico, con conseguente invito rivolto all’Agenzia delle Entrate a provvedere in via sostitutiva all’annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento in questione. Seguiremo gli sviluppi della vicenda.