«Etna Day». Così i media ribattezzarono il giorno della deflagrazione controllata sulla cima del vulcano per favorire il deflusso della lava, durante un altro dei suoi risvegli spettacolari, ma sempre geologicamente… vivaci. Era il maggio del 1983 e l’operazione fu affidata allo svedese Lennat Abersen, esperto di esplosivi.
Oggi, dinanzi ai crolli di Zafferana, Santa Venerina e Pennisi, ciò che si risveglia è il terrore ancestrale del suolo in sommovimento.
Scriveva lo studioso C. E. Fritz nel 1961, all’indomani di un biblico terremoto in Cile: «I disastri costituiscono un laboratorio dal vero per valutare sperimentalmente il grado di integrazione, la compattezza e le capacità di recupero di vasti sistemi sociali. Essi sono sul piano sociologico l’equivalente degli esperimenti che in ingegneria vengono condotti per valutare la capacità di resistenza di una macchina sottoposta a stress fisici di estrema intensità».
I terremoti vengono percepiti come segnali di un temuto giorno del giudizio. Mentre costituiscono il titanico metabolismo di Gaia, l’ecosistema planetario secondo James Lavelock. Noi umani, che ne facciamo parte, ci adagiamo semmai nella presunzione di poterlo controllare, quando siamo destinati a subirlo.
Umberto Eco definì i catastrofisti «venditori di Pathmos», l’isola di San Giovanni, in Apocalittici e Integrati, rifacendosi al titolo di un libro della figura fittizia di Milo Temesvar, modellato su Jorge Luís Borges, vate della letteratura fantastica come metafora dell’immaginario collettivo. Il quale è denso di paure e aspettative in base agli umori.
Di terremoti vibra la memoria atavica. «Vi fu una sola notte fra la più gran città e nessuna» scrive Platone sulla madre di tutte le apocalissi, quella di Atlantide. Terremoti di origine vulcanica, del resto, sarebbero responsabili della scomparsa di almeno altri tre continenti perduti, capisaldi mitologici. Mu, l’arcinemica di Atlantide, situata probabilmente nel Pacifico e patria dei primi giapponesi; Lemuria e Godswana, le cui ubicazioni variano con i pareri degli studiosi di misteri. Gli effetti sarebbero stati più devastanti della furia vesuviana nel ‘79 dopo Cristo, che ispirarono a Bulwer-Lytton il romanzo Gli ultimi giorni di Pompei.
Nel finale de L’Isola misteriosa, di Jules Verne, uno spaventoso terremoto con eruzione vulcanica inabissa il lembo di terra sul quale i naufraghi protagonisti avevano insediato una colonia ad alta tecnologia e provoca la definitiva distruzione del Nautilus, il sottomarino del capitano Nemo, già apparso in 20.000 leghe sotto i mari.
Con il terremoto si confronta anche John Fante, lo scrittore che ispirò Charles Bukowsky. Finito a Los Angeles per tentare la carriera letteraria, dedica alcune pagine di Chiedi alla polvere al sisma di Long Beach, avvenuto il 10 marzo 1933, di magnitudo 6.4 della scala Richter, con epicentro al largo della costa sudoccidentale di Long Beach, sulla faglia di Newport-Inglewood. Il disastro provocò 115 morti e danni valutati in quaranta milioni di dollari. Tanto da apparire fra le pagine di un altro romanzo uscito anch’esso del 1939, come quello di Fante, Il giorno della locusta, di Nathanael West. Qui lo scenografo Tod Hacket affitta un appartamento a Los Angeles e la proprietaria gli mostra una parete dove è rimasta una crepa di quel sisma. Dal libro di West fu tratto il film omonimo di John Schlesinger, del 1975.
D’altronde, nei giorni scorsi il globo aveva avuto un fremito ancora più preoccupante in Indonesia, ad opera di un vulcano già leggendario. Infatti Krakatoa, a est di Giava è un kolossal diretto da Bernard L. Kowalski nel 1969 che rievoca una titanica eruzione avvenuta nel 1883.
Il matematico francese René Thom ha elaborato la teoria delle catastrofi. Mediante una serie di espressioni algebriche, ha dimostrato il verificarsi di una rottura della stabilità basilare di partenza determinata da un punto critico. È la catastrofe elementare, descritta come la trasformazione dello stato ordinario delle cose.