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Lo scudo Mattarella per Europa e costituzione

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Sergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana

Sergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana

La Costituzione è come la nazionale di calcio. Ognuno la vuole a modo suo. Ora è tornato di moda attaccare il presidente della Repubblica, i cui poteri, a detta di Beppe Grillo, sarebbero troppo invasivi.

Giovedì 25 Ottobre 2018, 15:49

La Costituzione è come la nazionale di calcio. Ognuno la vuole a modo suo. Ora è tornato di moda attaccare il presidente della Repubblica, i cui poteri, a detta di Beppe Grillo, sarebbero troppo invasivi, specie a giudizio di chi - aggiungiamo noi - è paladino della democrazia diretta. Prima del fondatore del Movimento Cinque Stelle, aveva provveduto la famiglia Casaleggio (cofondatrice del M5S) ad auspicare un altro strappo della Carta costituzionale, prefigurando, nel tempo, la sostituzione del Parlamento da parte della Rete, ritenuta, dagli artefici della piattaforma Rousseau, la massima palestra di sovranità. A breve, immaginiamo, sarà il turno della Corte Costituzionale, la cui istituzione, in verità, non venne accompagnata dall’unanimità degli «evviva» e il cui operato ha infastidito non pochi maggiorenti della Prima e Seconda Repubblica. Il leader comunista Palmiro Togliatti (1893-1964), per rifarci ai Padri Costituenti, ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Ma la Costituzione, già lo scriveva il filosofo greco Aristotele (384-322 avanti Cristo) nella Politica, è «l’ordine della città, di tutte le cariche e, soprattutto, dell’autorità sovrana».

Traduzione: la Costituzione serve soprattutto a porre limiti all’azione chi comanda. Concetto, quest’ultimo, fatto proprio, pochi secoli fa, dalle due rivoluzioni (francese e americana) di fine Settecento.
Il Capo dello Stato, in Italia, non ha i poteri di molti suoi colleghi esteri eletti a suffragio universale, ma ha un compito, chiaro come il sole: fare da (primo) guardiano alla Costituzione. E se la Costituzione, per rifarci all’attualità immediata, prescrive l’equilibrio di bilancio oltre che il rispetto dei trattati internazionali, il Quirinale ha il diritto, se non l’obbligo, di farlo notare.
Né si può e si deve reagire a ogni doverosa sottolineatura delle prerogative costituzionali, rimettendo tutto in discussione, come ha cercato di fare Grillo con il ruolo della Presidenza della Repubblica. Uno, perché leggi e procedure vanno rispettate sempre, anche o soprattutto da parte di chi, come osservava Aristotele, possiede le chiavi della Città. Due, perché, in caso contrario, in caso di ripudio della legge fondamentale dello Stato, si rischia di fare come quei ragazzi poco sportivi che scappano via col pallone se l’andamento della partita non soddisfa i loro piani di vittoria.

Oggi è nel mirino il Quirinale, ma è quasi tutta la Costituzione a subire schiaffi e strattonamenti. Tra cultura delle procedure e democrazia diretta c’è più distanza che tra Merano e Lampedusa. E chi vince, di solito, tende a manifestare insofferenza nei confronti delle regole che fanno da freno alla voluttà decisionale.
Eppure la Costituzione italiana, pur essendo stata concepita e progettata come un’impalcatura assai rigida, non è affatto una piramide immobile e immodificabile. La nostra Costituzione è, nello stesso tempo, formale, materiale e vitale. È formale perché le sue prescrizioni vanno applicate alla lettera. È materiale perché le disposizioni normative vanno interpretate in linea con lo spirito del tempo. È vitale, nel senso di corpo vivente, perché le norme costituzionali sono soggette alle interpretazioni dei giudici della Consulta specie quando alcune tematiche non sono comprese nel testo della Costituzione.
In ogni caso, nessuno può aggirare la Costituzione. Ogni sua modifica deve essere sottoposta al cammino che i Costituenti stabilirono per tutti i tentativi di riforma. Ecco perché sorprende il tiro al bersaglio sul Quirinale, cominciato, si sa, già durante la formazione dell’attuale governo.

Sergio Mattarella, per vocazione, temperamento studi e convinzione, non ha alcuna intenzione di mettersi a capeggiare il fronte contro il governo gialloverde. Del resto, la Carta ha attribuito al Capo dello Stato una funzione di garanzia costituzionale, non di regia sul governo. Ma il Presidente non può fare a meno di intervenire, nelle vesti di stopper della Costituzione, quando il relativo dettato viene dribblato o pesantemente contestato.
Di conseguenza nei prossimi giorni, o nelle prossime setrtimane, rischia di andare in onda il sequel del braccio di ferro, conclusosi il primo giugno scorso, sul nome del ministro dell’economia. Ricorderete: da un lato c’era il tandem Di Maio-Salvini che insisteva per l’euroscettico Paolo Savona alla guida del Tesoro, dall’altro lato c’era Mattarella che sollecitava un nome meno dirompente sui temi dell’Europa e della moneta comune. Alla fine si trovò la soluzione di compromesso: Giovanni Tria.
Stavolta il confronto tra il Quirinale e i due azionisti di maggioranza del governo potrebbe risultare ancora più aspro e drammatico. È in gioco la permanenza dell’Italia in Europa. Se la manovra non sarà modificata e se l’Europa la riboccerà, le pratiche di divorzio dell’Italia dall’Europa potrebbero subire un’accelerazione degna di un bolide di Formula. Potrebbe essere l’Italia ad agire per uscire dal club dell’euro. Potrebbe essere l’Europa a non sbracciarsi per trattenerla. In un modo o nell’altro, si metterebbero in moto meccanismi incontrollabili, ad alto tasso di pericolosità, specie per i salvadanai degli italiani (e la Costituzione s’inchina alla funzione benefica del risparmio).

Non sappiamo se Grillo sia solo (come dicono) il past president, il capo onorario del suo Movimento, o se sia, ancora, la sua eminenza grigia. Qualunque sia la sua «carica» effettiva, le bordate contro Mattarella sembrano le avvisaglie dell’inizio della madre di tutte le battaglie: Italia fuori o dentro l’Europa? Con Mattarella, senza volerlo, nelle vesti di portabandiera dello schieramento europeista: in nome della Costituzione e in sostituzione dell’Opposizione (che non c’è).

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