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GIUSEPPE DE TOMASO
04 Settembre 2018
È vero, come già pronosticava un filosofo dell’Ottocento, che le interpretazioni hanno preso il posto dei fatti. Ma è altrettanto vero che i fatti hanno la testa dura, infrangibile pure per le interpretazioni più comode o interessate. È un fatto che negli ultimi mesi la ricchezza del Belpaese sia diminuita: lo spread, ossia il differenziale tra i Btp italiani e i bund tedeschi ha sfiorato i 300 punti; fiumi di capitali - secondo i bene informati - hanno oltrepassato i confini nazionali; parecchi investitori si sono allontanati dai titoli del debito pubblico italiano, costringendo il Tesoro a offrire remunerazioni più alte; il patrimonio quotato in Borsa si è ridotto di valore. Insomma, se i fatti non sono opinioni, è un dato incontestabile che si è erosa ricchezza per decine e decine di miliardi, forse centinaia. Ma, siccome questi processi di autodistruzione sfuggono alla lente dei più, compresi gli organi di informazione (alle prese con le nozze Fedez-Ferragni), succede che nessuno, o quasi, se ne accorga compiutamente e grida «attenti al lupo».
Anzi, si verifica questo paradosso. I mercati soffrono, o almeno indicano una sofferenza in atto, ma gli stessi mercati finiscono sotto processo. Non solo. Si contrappongono due termini - mercati e cittadini - quasi che i primi - ossia i mercati - non fossero composti da cittadini, da persone in carne e ossa, da milioni, miliardi di risparmiatori che puntano a investire, a mettere a frutto, i propri capitali. Invece, nell’accezione, nella vulgata prevalente, i mercati assolvono una funzione cospirazionistica al servizio di non meglio precisati centri di potere occulti, ovviamente animati da tentazioni e obiettivi anti-democratici e ostili al nuovo che avanza.
Dare la colpa ai mercati viene facile e stronca sul nascere ogni richiesta o esigenza di autocritica. Lasciar intendere che dietro gli orientamenti dei mercati agiscano burattinai più feroci di Erode procura facili applausi e copiosi consensi, non foss’altro perché a nessuno viene in mente di pretendere la prova a sostegno di informazioni così apodittiche. Insomma, i famigerati mercati, che poi sarebbero il mercato globale, cioè la società aperta, hanno le giuste caratteristiche per essere additati a nemici da abbattere senza particolari esitazioni.
Il filosofo Karl Raimund Popper (1902-1994) intitolò La società aperta e i suoi nemici (1942) la sua opera più profonda e ponderosa. Titolo efficace, ma soprattutto profetico, perché mai come adesso, dopo la fase delle ideologie assassine nel secolo scorso, la «società aperta» è assediata da nemici agguerriti e a caccia di proseliti.
Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) pareva, come s’azzardò a predire il politologo nippo-americano Francis Fukuyama, che la storia fosse finita e che la causa della libertà avesse avuto la meglio su ogni proposito autocratico e/o totalitario. Invece la storia non era affatto finita. Anzi, dopo una breve tregua, sono ripresi i colpi della reazione, a raffica. Bersaglio: la globalizzazione, ossia la società aperta esaltata da Popper.
I mercati sono la traduzione economica della società aperta. I mercati costituiscono l’opportunità per i consumatori di stabilire cosa comprare e cosa scegliere senza l’eterodirezione di un Grande Fratello che tutto sa, tutto vede e tutto controlla. I mercati sono anche uno strumento per giudicare i governi nel loro decisionificio quotidiano. I mercati sono il termometro sullo stato di salute di un’economia. Può non piacere, ma come diceva Winston Churchill (1874-1965) a proposito della democrazia, non si conosce un sistema migliore.
Non è mai accaduto che la speculazione abbia preso di mira un’economia sana e scattante. La speculazione si scatena sempre contro le economie barcollanti e moribonde. Si scatena, ma nello stesso tempo indica una criticità, mette nocchieri e naviganti sull’avviso: «Vedete, c’è aria di burrasca, cercate di correre ai ripari».
Né è ragionevole ipotizzare scenari organizzati a tavolino da menti spietate e mefistofeliche. Uno, perché nessuno avrebbe la forza di organizzare un simile piano sovrumano. Due, perché solitamente la cosiddetta Razza Padrona ambisce a mercati coperti, non a mercati aperti, demonizza la concorrenza e auspica la protezione.
Proporsi di dare una lezione, che poi vorrebbe comportare una bastonata, ai mercati, significa voler colpire l’esercito di piccoli investitori, non lo stato maggiore di miliardari come il citatissimo finanziere George Soros; significa ridurre la ricchezza di una nazione o di una comunità di Stati; significa scoraggiare gli investimenti, la crescita, la fiducia nel domani, l’avvenire delle prossime generazioni.
Purtroppo, i fatti hanno la testa dura, ma si prestano a interpretazioni fuorvianti, forse per paura, ignoranza, rabbia, calcoli vari. Cosicché dilagano le teorie e le spiegazioni più bislacche e bizzarre. Ma più i fatti smentiscono queste favole, più queste favole riacquistano credibilità. Segno che il rapporto tra causa ed effetto non è mai stato così inafferrabile, e ignorato, come in questa fase storica. Soprattutto in Italia.
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