Merita apprezzamento l’impegno del governo sulla tragedia di Genova. Non essersi limitati alle rituali e talvolta ingombranti «visite» sui luoghi del disastro, ma aver convocato un consiglio dei ministri in loco, cui ne dovrebbe a breve seguire un altro, aver fatto sentire la presenza delle istituzioni ai familiari delle vittime, ai feriti, agli sfollati, ai soccorritori che stanno lavorando mentre sulle loro teste pendono macigni di cemento armato, è segno di sensibilità e attenzione. Stonano però in questo contesto alcune dichiarazioni - di Di Maio e Toninelli soprattutto - che hanno ancora il sapore della campagna elettorale. Evocare inciuci fra Benetton e i partiti mentre ci sono i morti sotto le macerie è una mancanza del rispetto che tutti, e a maggior ragione le istituzioni, dobbiamo a quelle vittime inconsapevoli.
Anche il premier Conte si è lasciato andare a un’affermazione che avrebbe potuto evitare: «La magistratura farà le verifiche con la sua inchiesta, ma noi non possiamo aspettare i tempi della giustizia penale».
Detta da un docente di diritto privato è una frase doppiamente stonata, ancorché in linea con un populismo che in queste ore andrebbe tenuto il più lontano possibile. La forza dello Stato di diritto consiste proprio nel rispetto, sempre e comunque, delle regole che si è dato. Le inchieste rapide sono una cosa i processi sommari sono un’altra.
Ci sono poi i proclami contro Autostrade per l’Italia, con la minaccia (che via via si va affievolendo) di revoca della concessione: anche questi proclami potevano essere ritardati di qualche giorno. È sembrato invece che si volesse un capro espiatorio, qualcuno contro cui concentrare tutta la rabbia che in questo momento affiora. Autostrade per l’Italia avrà certamente le sue responsabilità: andranno accertati con rigore e rapidità tutte le omissioni, gli errori, i ritardi e dovranno essere puniti in maniera inflessibile. Ma questo potrà essere solo un passo nell’accertamento delle responsabilità. Perché è inimmaginabile che in situazioni di tale complessità tecnica, burocratica e politica ci sia un solo responsabile. Il ministero dei Trasporti si è mai preoccupato di verificare l’operato della società concessionaria? E non solo per il ponte Morandi, ma più in generale per la manutenzione dell’intera rete affidata in concessione. Da anni qualificati tecnici hanno pubblicamente detto che quel ponte era pericoloso: per la vetustà, per la tecnica di costruzione, per l’enorme traffico di veicoli pesanti che sopportava. Qualcuno ha preso in considerazione quegli allarmi, che non provenivano certo da sprovveduti o da politicanti alla ricerca di notorietà?
La tragedia di Genova ripropone in maniera drammatica e sotto una luce diversa la questione delle grandi opere, un punto sul quale il governo gialloverde non appare coeso. Allora forse è questa l’occasione per chiarire una volta per tutte, che l’Italia ha bisogno di grandi opere. Non solo di realizzazioni ex novo, ma anche di quelle che vadano a sostituire opere esistenti e ormai inadeguate o logorate dall’uso e dal tempo, proprio come avrebbe meritato il ponte Morandi.
L’Italia ha smesso di costruire autostrade e viadotti praticamente 40 anni fa. Un lasso di tempo in cui il traffico su gomma, paradossalmente si è moltiplicato in maniera esponenziale. E nel frattempo non sono state realizzate altre opere per velocizzare i trasporti e alleggerire la rete autostradale. Dai treni ai porti siamo fermi. E questo è disastroso in un Paese stretto e lungo come l’Italia e spiega in buona parte perché il Sud continui a essere la zavorra dell’Italia. Semplicemente è tagliato fuori dalle grandi direttrici europee che ormai si sviluppano più in orizzontale - da Est a Ovest - che in verticale.
Allora la politica e questo governo in particolare, che ha sviluppato una sensibilità diversa verso il tema delle grandi opere, devono fare una riflessione seria e profonda. Perché dietro gli slogan populistici e le facili campagne elettorali si nascondono le vite delle persone. Non solo di chi perde o trova un posto di lavoro a seconda che si chiuda o si apra un cantiere. Ma le vite di tutti, compresi quegli innocenti sepolti vivi da un cemento disarmato dalle nostre incapacità.