Non bastavano le «carrette» del mare. Non bastavano le ondate di cadaveri di migranti sui quali si sono costruite le carriere politiche dei leader populisti. Ora, per chi non se ne fosse accorto prima, assistiamo all’ecatombe di immigrati (anche regolari, illustre Salvini!) che sulle strade della Puglia assolata e vacanziera viaggiano in piedi, stipati in 14 su un furgone che dovrebbe contenerne 4.
Come animali. Portati a lavorare nei campi, sfruttati e sottopagati: a loro non interessano le polemiche sui voucher, né quelle sul reddito di dignità, perché quella parola «dignità» l’hanno persa anche qui, da noi, che siamo il loro Medioevo.
Una fatalità ci ha fatto accorgere della loro silenziosa e terribile esistenza. Come avvenne nell’estate del 2015, quando Paola Clemente, stroncata da un malore, fece conoscere la sua vita e la sua morte sotto un tendone infuocato delle campagne di Andria. O come è avvenuto nei decenni alle tante braccianti morte sulle strade della Puglia: a Oria, nel Brindisino, c’è persino un monumento a loro dedicato, in cui i corpi delle donne vittime del caporalato emergono tra le lamiere contorte.
Il passato non finisce mai. Anche questa volta, prima del definitivo oblìo, ascolteremo voci indignate e promesse accorate. Delle quali ogni tanto sarebbe il caso di chiedere il conto: un esempio è quello sbandierato trasporto pubblico per i braccianti, per il quale furono - pare - anche stanziati in Puglia un bel po’ di soldi.
Che fine ha fatto il proposito di sottrarre alla morsa dei vecchi e nuovi caporali, italiani ed extracomunitari, il business della raccolta «indifferenziata» (termine non casuale) di braccia per l’agricoltura? Un uomo, dodici, sedici uomini morti di lavoro, forse meritano più di una vana promessa.