Le dichiarazioni del ministro Di Maio alla Camera - che hanno riferito e commentato le criticità rilevate dall’Anac nella gara di aggiudicazione del Gruppo Ilva alla cordata AmInvestco Italy - stanno alimentando, com’era del resto facilmente prevedibile, la polemica che da ieri divampa fra il nuovo responsabile del Dicastero e il suo predecessore Calenda. L’oggetto sono le modalità di svolgimento della gara stessa e la sua conclusione.
Come è noto, la gara aveva visto perdente la cordata Acciaitalia composta dalla Jindal, da Arvedi, dalla Cassa depositi e prestiti e dalla Delfin di Leonardo Del Vecchio, pur con un piano industriale ritenuto migliore, ma con un’offerta economica inferiore a quella risultata vincente. È interessante però, a nostro avviso, sottolineare un’affermazione fra le altre di Luigi Di Maio che ha richiamato l’attenzione sulle nuove proposte che Arcelor si accingerebbe ad avanzare ad horas per la definitiva acquisizione del Gruppo siderurgico, migliorando quelle con le quali aveva vinto la competizione con la cordata concorrente. E le modifiche migliorative riguarderebbero sia i livelli occupazionali previsti per il nuovo esercizio dei vari siti e soprattutto in quello di Taranto - prima fabbrica del Paese per numero di addetti diretti (10.980) - sia i tempi di completamento del piano ambientale nella grande fabbrica ionica, e presumibilmente anche i processi di produzione da rilanciarsi o da avviarsi in essa.
Perché richiamiamo questo passaggio delle dichiarazioni ministeriali ? Perché ci è sembrato di capire – ma potremmo evidentemente sbagliarci – che gli stessi ambienti ministeriali ritengano molto problematico rifare la gara, avendo la stessa Anac affermato che tale decisione, di esclusiva competenza politica e pertanto del Ministero, potrebbe realizzarsi qualora vi fosse da tutelare un interesse pubblico. Naturalmente in tal caso la cordata Arcelor, al momento non responsabile delle anomalie ravvisate in sede di svolgimento della gara e nella aggiudicazione, potrebbe aprire un contenzioso lungo e dall’esito incerto.
Ora, nell’auspicare l’assoluta trasparenza nel prosieguo della vicenda, da parte di tutte le parti in causa, è bene richiamare ancora una volta l’ormai delicatissima situazione in cui versa lo stabilimento di Taranto sotto il profilo produttivo e impiantistico, e la drammatica condizione finanziaria che stanno attraversando le aziende locali dell’indotto, le quali annunciano una manifestazione agli inizi della prossima settimana in cui consegnerebbero simbolicamente le chiavi delle loro aziende al Prefetto, affermando di non avere più le risorse per proseguirne l’esercizio. Saremmo dunque alle soglie del tanto temuto collasso delle imprese di subfornitura, senza le quali – è bene esserne pienamente consapevoli - lo stesso Siderurgico sarebbe destinato a fermarsi entro brevissimo tempo. Per non parlare ovviamente della ormai penosa incertezza che grava sui lavoratori dello stabilimento tarantino e sulle loro famiglie.
Ma anche il porto risente dell’ormai fortissimo rallentamento delle movimentazioni legate alle attività dell’Ilva, e tutte le attività economiche della città e dell’hinterland, alimentate dalla massa salariale corrisposta dalla società, stanno subendo colpi durissimi. La situazione dunque è preagonica e lo stesso Arcivescovo di Taranto, monsignor Santoro, ha più volte richiamato la necessità di giungere quanto prima a una soluzione dell’intricata vicenda nel pieno rispetto dei diritti al lavoro, alla salute e all’ambiente.
Allora l’auspicio che ci sentiamo ancora volta di esprimere è che Arcelor migliori radicalmente le sue proposte, partendo da un netto innalzamento dei livelli occupazionali – possibile peraltro come autorevolmente affermato nelle scorse settimane anche dal presidente uscente di Federacciai, il prof. Gozzi – accelerando l’attuazione del piano ambientale, riducendo drasticamente l’orizzonte temporale del suo completamento e predisponendosi ad introdurre sia pure con la gradualità necessaria modifiche nei processi di produzione sperimentando a Taranto ciò che ha già in attività in un suo impianto ad Amburgo, ovvero la tecnologia imperniata sul preridotto di ferro, sulla quale era impostato in parte il piano di Acciaitalia, la cui capocordata Jindal ha di recente acquisito lo stabilimento di Piombino.
Naturalmente un’auspicabile introduzione della tecnologia del preridotto di ferro in forni elettrici – impiegabile però anche negli attuali altiforni – deve essere valutata in termini rigorosamente economici, senza indulgenza alcuna verso una sua esaltazione propagandistica, e con una precisa valutazione dei costi di impianto per i macchinari destinati a impiegarlo e dei prezzi di acquisto delle materie prime che hanno bisogno di un ridotto costo del gas.
Ma bisogna fare presto, il tempo a disposizione per salvare Taranto è ridottissimo come ha riconosciuto lo stesso ministro Di Maio e pertanto bisogna procedere con tutte le verifiche necessarie e con trattative azienda-sindacati non stop, se del caso anche il giorno di Ferragosto. Taranto, la Puglia e l’Italia non possono più aspettare, l’acciaio del sito ionico è strategico per il nostro Pese.