C’erano una volta i politici che parlavano e i giornalisti che raccontavano. Capitava però che i primi si lasciassero scappare qualche parola fuori posto, un giudizio avventato, un aggettivo inopportuno, talvolta anche un’idiozia bella e buona. Il tutto finiva in pasto al pubblico. Come rimediare? Con un’altra dichiarazione, un’intervista o un comunicato in cui si diceva che il giornalista in questione non aveva capito, aveva frainteso, aveva perso l’ascolto di una parola che mutava il senso delle affermazioni. Insomma, colpa del giornalista. Al tempo di Internet non è più possibile attuare questo stratagemma: ci sono filmati, registrazioni e sempre più spesso mini-dirette. Non si può dire «il giornalista non ha capito», se poi circolano filmati che documentano il contrario. E più si prova a smentirne i contenuti, più quelle immagini girano. Che fare?
Il genio italico ha escogitato una brillante soluzione che ha il pregio di risolvere la situazione e di non mettersi contro i giornalisti in un braccio di ferro l’ha-detto-non-l’ha-detto. Per sistemare le cose è sufficiente pronunciare o anche lasciar dire da altri la frase magica: «Parlava a titolo personale».Chi parla a titolo personale ha licenza di dire sciocchezze, di venir meno ai suoi obblighi istituzionali, di raccontar balle. È la rivincita del privato sul pubblico. E così non si contano più le pile di dichiarazioni a titolo personale. Il presidente della Camera, Fico, dice che non vanno chiusi i porti ai migranti; Di Maio pronto replica: parla a titolo personale. Altrimenti entra in crisi il rapporto con Salvini. Il sottosegretario alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora dei 5Stelle, partecipa al Gay Pride di Pompei e dice: «Sono qui per testimoniare il mio sostegno e quello del governo». Ma il suo ministro, quello della Famiglia, Lorenzo Fontana chiarisce di persona: «Spadafora parla a titolo personale e non a nome del governo, né tantomeno della Lega». Il sottosegretario leghista alla Giustizia, Morrone, dice che bisogna abolire le correnti nella magistratura e in particolare quelle di sinistra. Il ministro Bonafede interviene e lo zittisce: parla a titolo personale. L’espressione a titolo personale esclude possano esserci conseguenze di qualsiasi tipo. Insomma chi parla in questa veste gode di una sorta di esimente, di una impunità come se avesse un vizio di mente o fosse un bambino di pochi anni. Per cui non può essere punito, redarguito o cacciato.
Non si tratta solo di una deriva italica. Durante il recente vertice del G7 a Charlevoix, Donald Trump ha spiegato ai leader europei che erano con lui che la Crimea è effettivamente russa e che dunque a Mosca non si può contestare alcuna annessione. Agli interlocutori allibiti ha però precisato: «Secondo me». Cioè l’equivalente a stelle e strisce del «a titolo personale». Più che altro sembra una prerogativa di chi è al potere. Così scriveva Curzio Maltese su Repubblica del 2 luglio 2001: «Se Rocco Buttiglione annuncia di voler modificare la legge sull'aborto lo fa “a titolo personale e senza che questo implichi un coinvolgimento del governo”. Se Domenico Contestabile, senatore di Forza Italia e avvocato di Berlusconi, chiede un'amnistia per cancellare tutti i reati di corruzione da tangentopoli, parla sempre “a titolo personale”».
Parlare a titolo personale è dunque una libertà insopprimibile di ogni soggetto presente sulla scena pubblica. Cristallizza la possibilità di dissentire senza subirne le conseguenze. Al soggetto è riconosciuto il diritto di sdoppiarsi: la figura istituzionale - presidente, ministro, sottosegretario, sindaco, leader di partito - che si attiene alle regole e al bon ton; la figura «personale» che può esprimersi a ruota libera, anche in senso opposto al suo ruolo o alla sua militanza partitica. È la sublimazione del concetto di democrazia. O, se si vuole, la conferma che ci avviamo verso una irrilevanza della parola in una realtà dominata dall’immagine. Per la vicenda dei migranti arrivati a Trapani, il ministro Salvini ha rischiato l’incidente diplomatico con la magistratura e con il Quirinale pur di vedere e far vedere due migranti che sbarcavano ammanettati. Sarebbe stata un’icona che nessuna parola avrebbe potuto contrastare. In tempi grigi e ligi ai propri doveri parlare a titolo personale non era concesso. Vigeva l’etica della responsabilità per cui si diceva ciò che si pensava ma a patto che si pensasse ciò che si diceva. Oggi si può parlare a titolo personale ed è una bella presa per il c.
Michele Partipilo
PS. Naturalmente le considerazioni nell’articolo sono a titolo personale.