«Come in quei momenti in cui la nostra fantasia domina la realtà, in una relazione di amorevole conflitto tra ciò che è e ciò che sarebbe se lo accettassimo senza sperare che fosse migliore». Con questa riflessione, il giovane pianista e compositore barese Mattia Vlad Morleo introduce gli ascoltatori al suo nuovo disco, From that dirty glass, che esce a tre anni di distanza dall’album d’esordio The Flying of the Leaf. Nel frattempo Morleo, che deve ancora compiere vent’anni, ne ha fatta di strada, conquistando, tra l’altro, il momento di maggiore visibilità mediatica con la colonna sonora del docufilm Santa subito di Alessandro Piva, premiato alla Festa del cinema di Roma. Ora, appunto, il disco che, edito dalla svedese «1631 recordings», può fregiarsi della prestigiosa distribuzione affidata alla britannica Decca.
Ma prima di entrare nel merito delle composizioni, è inevitabile compiacersi per il taglio e lo sguardo introspettivo che Morleo ha inteso conferire a quest’opera, che sarebbe ingiusto confinare nell’ambito di una manciata di aggettivi e, casomai, di cifre stilistiche, che pure ci sono e andranno sottolineate. Perché a rendere la registrazione interessante è appunto l’idea, la base al contempo intellettuale ed emotiva che non è decisamente comune a tutti i suoi coetanei.
Nelle parole introduttive, si coglie infatti la tenacia di chi non si rassegna all’ineluttabile e continua a pensare, a elaborare sistemi nei quali non si rincorre la perfezione, ma si può anelare al perfettibile. Ed ecco che allora lo stesso titolo dell’album viene in soccorso agli ascoltatori, ricordando che guardare il mondo circostante dietro una finestra dai vetri sporchi può non essere un ostacolo, ma anzi, un punto di forza per affilare l’immaginazione, fare di necessità virtù e magari cogliere nelle macchie, nelle incrostazioni, l’immaginifica rappresentazione di mondi paralleli, un po’ come accade quando si volge lo sguardo al cielo, immaginando che le nuvole assumano delle forme familiari, quando non addirittura antropomorfe.
Premessa lunga, ma necessaria per addentrarsi tra i brani di questo album - dieci in tutto - nei quali Morleo fa impiego di pianoforte ed elettronica, incrociandosi con il violoncello di un altro giovane talento della musica pugliese, il barlettano Mauro Paolo Monopoli, che qui interviene sovraincidendo la propria voce.
Non staremo qui a descrivere tutte le composizioni, tra le quali citiamo giusto il cupo Prelude, illuminato dal violoncello, l’etereo In the dusty dreamlike way, dal bel tema declamatorio o il fascinoso Obsessive Fraying con le sue ipnotiche ridondanze permeate dal lirismo straziante del violoncello. L’album nella sua interezza ci appare piuttosto un concept che utilizza le note per descrivere degli stati mentali, prediligendo delle sonorità eteree che sfiorano il minimalismo, l’ambient, senza però mai restare prigioniero di vuoti esercizi di stile e, nel suo incedere lento e delicato, quasi atemporale, sembra volersi ammantare di un ideale respiro cinematografico, come se la musica nascesse in attesa di immagini a venire.
Morleo non indica i propri modelli, eppure, all’orecchio attento, non sfuggiranno gli inconsci richiami emotivi e compositivi ad autori di spessore che vanno dal georgiano Giya Kancheli all’estone Arvo Pärt o alla greca Eleni Karaindrou. Punti di riferimento di tutto rispetto per un autore così giovane che a maggior ragione merita di essere seguito con interesse.