Sabato 06 Settembre 2025 | 19:08

La Palermo racchiusa nel Palazzo Butera

 
Silvio Perrella

Reporter:

Silvio Perrella

Perrella, la paurabuona consigliera

Silvio Perrella

Sono città cifrate a colori su anteporte; respirano in un palazzo che prende il nome da un principe che fa unisono con una di esse: Butera.

Giovedì 24 Novembre 2022, 15:02

Sono dieci, ruotano come pianeti, scendono dal cielo di un tetto che ha ancora figure d’affresco, si scambiano le parti, hanno nomi da carte celesti: Mazzarino, Santa Lucia, Pietraperzia, Niscemi, Barrafranca, Grammichele, Butera, Raccuia, Militello, Scordia.
Potrebbero essere cento con nomi come Leonya o Diomira o Eufemia o Despina o altri ancora, nel combinarsi di occhi e desideri, di vecchiaie e gioventù.
Sono città cifrate a colori su anteporte; respirano in un palazzo che prende il nome da un principe che fa unisono con una di esse: Butera.
Accanto alle porte, alle stanze, ai terrazzi c’è Porta Felice. Di fronte il Foro Italico, il Porto, le navi a viavai, il golfo lontano che allude alla punta di Capo Faro lontanissimo e vicino e a Messina.
Palermo, è Palermo con Villa Giulia, l’Orto Botanico, l’infanzia, i leoni sonnolenti, gli alberi centenari con rami che solcano la terra come elefanti.
È la Palermo racchiusa nel palazzo Butera che chiama a sé le città del Principe.
Ognuna ha la sua topografia, le case disposte lungo i tracciati viari, le donne che lavorano panni alle fontane, gli uomini spariti nel sonno, una figurina rossa che chiede conto delle sue proprietà.
Porte-mappe appese ai fili, girevoli, pronte ad essere manovrate dalle mani sapienti e ritmiche di Cuticchio che in via Bara all’Olivella sogna paladini di Francia e li mescola ai poemi e si fa Ulisse viaggiatore d’immagini e di sussulti.
Da bambino andavo nel suo teatrino fatto di panche marroni e verdoline, facevo dondolare i piedi e ascoltavo diradando la nebbia degli occhi.
Suoni di ferraglia e di legno, armature, gesti d’eroi, sguardi guerreschi, Angelica che fugge.
A piazza Olivella i fermenti fosforici del passato nelle sale del Salinas, la fontana con le tartarughe immote, le corazze a bagnasciuga, il teatro delle palpebre a scendere su occhi antichissimi, la cecità procurata per attimi, l’immersione amniotica dello sguardo tra i papiri.
Grammichele esagono a raggiera, il vuoto formicolante della piazza al centro, le chiese panciute, il ricordo di Occhiolà che fu prima di lei, sospinta nel nulla da un terremoto seicentesco, il principe Carlo Maria Carafa Branciforti alla ricerca di geni architettonici, la porta-mappa di un palazzo Butera immaginato da capo dai coniugi Valsecchi, novelli Arnolfini a darsi la mano dell’utopia davanti a uno specchio curvo, mise en abîme a vertigine di tempi e spazi.
Sali sul tetto, sfonda i muri, guarda la tua città natale facendo occhiolà come la vecchia città.
Occhiolà tra le mappe viventi e quelle che scendono a poco spazio dai pavimenti.
Bèati dell’invenzione d’oggi, convoca Calvino e Vittorini, inforca gli occhialini, fai mescola di Thomas Jones e Edward Burne-Jones, ridi amaro con Gilbert & George, specchiati nelle maioliche ondose e verdi dell’immenso terrazzo e torna qui a far ruotare i mondi.
Ti c’infili tra le porte, curiosi nei retri, le trasformi in ali di carrozze, viaggi in Sicilia; nella Sicilia feudale, apparentemente sottomessa, ma sempre pronta alla rivolta del terremoto.
E sia, sia nuovo suggerimento dell’abitare, dove ognuno è principe di se stesso, artefice del proprio cammino, consonante con mappe in itinere, autoformantesi, finestre spalancate, piazze dove far sosta e racconto.
E mettici tra le mappe nuove e antiche Gibelline, cretti da ripensare, Scicli come Gerusalemme, città del mondo, visibili e invisibili, sospiranti, antiche e future, capaci di fare comunella con il mare, pontos mobile in perpetua metamorfosi, congiungimento di isole e terraferma, malumore e gioia, stranezze d’accasare nelle carezze d’approdi civili.
Ruotano le dieci città dipinte sulle anteporte di palazzo Butera, ognuna con il suo impianto, il principe in visita vestito di rosso, i contadini con coppoline di lana grezza, le massaie a far mossa l’acqua con le mani e io qui in visita, gli occhi da risanare negli sguardi, i piedi vogliosi di viaggi, le orecchie in ascolto, mi siedo sulla panchina, dò le spalle al palazzo, osservo le bouganville bianche, la luna come un’ostia, è sera, puoi chiudere gli occhi stanchi e dormire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Silvio Perrella

La Panchina

Biografia:

La meridiana, detta anche, impropriamente, orologio solare o quadrante solare, è uno strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del Sole. Attraverso le parole di Silvio Perrella facciamo un viaggio nel tempo nei luoghi del cuore che profumano di Meridione e Sud.

Silvio Perrella

Calendario dei post

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)