In questi giorni si sta parlando di come agevolare e promuovere la natalità con proposte al governo orientate all'abbattimento delle tasse a partire dal secondo figlio.
Io penso che la ragione della denatalità stia più in un calo di motivazione verso la vita e verso le relazioni affettive, tra cui la famiglia, dove oggi per impegnarsi è necessario avere chiari i valori e combattere il doppio per difenderli, a cominciare dalla giostra degli orari della conciliazione vita lavoro e dall'assenza dei servizi di welfare e di una comunità informale ma strutturata su cui fare affidamento, come le vecchie reti familiari allargate.
La donna è in prima linea, in questo slalom tra nuove esigenze di integrazione tra ambiti di vita, ed ora (e non ancora) che è anch'essa appieno nel sistema produttivo, oltre che in quello di cura, ha “messo in crisi l’organizzazione famigliare”, lasciandola con il nervo scoperto, mostrando la vulnerabilità di una gestione (che era già) squilibrata tra carichi di cura, tra concezione dei ruoli nel nucleo domestico e famigliare e con la necessità di ripensare all'educazione non solo come mero accudimento (da affidare a chicchessia), ma come sfida educativa di due genitori. Soggetti adulti che entrano in una relazione autentica ed empatica con i figli e come coniugi, creando un contesto d’amore congruente e modelli autorevoli e differenziati a cui essi possano ispirarsi nella loro crescita.
Non regge più il sistema della vita assoggettata al ruolo lavorativo, in cui il marito “professionista” rientra a casa e può contare su un management totalmente demandato: la cena pronta, la casa ordinata, i figli sorvegliati e sistemati. E per fortuna non regge più nemmeno la famiglia organizzata sulla falsariga dell'azienda, in cui serve spuntare una banale lista della spesa. Non serve perché anche nella coppia, la coniugalità non assomiglia più nemmeno lontanamente ad un anello dorato al dito, né tantomeno ad una foto da scrivania con una bella cornice, che una volta acquisita è solo da spolverare. Non interessa a nessuno mantenere la facciata della coppia, né della famiglia perfetta e scontenta. Anzi il ricorso al tradimento e alla separazione lampo è diventata la strada più facile da intraprendere. Chiudere una storia e rimuovere velocemente il dolore. Apparentemente a costo zero e a tempo record.
Crollata la facciata, con la famiglia per “principio”, ciò che conta oggi è sentirsi bene. E alla peggio “sentire” (senza interpellare la saggezza del cuore) significa buttarsi in esperienze “fuoco di paglia”, nel qui ed ora, tanto chi se ne frega, per sé e per i figli, che -si pensa- sopravviveranno come hanno fatto tutti. Alla meglio, invece, significa cercare qualcosa di vero, per cui valga davvero la pena impegnarsi e trovare il senso dell'esperienza di una relazione reciproca, che è anche confronto critico, impegno per una crescita individuale e comune, con gioie e dolori in un andamento dinamico a più stadi. Un crollo di sovrastrutture e di stereotipi del passato che ha significato per alcuni agire con superficialità, sorvolando la vita a mezz'aria. Ma per altri, ha comportato un positivo risveglio in cui potersi dare finalmente il permesso di leggere, interpretare e vivere la vita secondo una propria valutazione, legata al proprio sistema di valori e di riferimenti, andando incontro ad una maggiore co-responsabilità e congruenza, volando alto, anche in campo affettivo e famigliare. Per questi ultimi la motivazione alla vita, nella sua globalità e armonia di aspetti e ruoli resta ancora una sfida, soprattutto a causa della complessità degli stimoli da organizzare in una società non ancora flessibilizzata nella cultura.
Al centro della riflessione odierna, c’è la capacità di percepirsi come persone, ma insieme, da protagonisti, in cui la vita non può più essere ridotta ad un ruolo o ad una funzione per entrambi, uomini e donne. Serve un allargamento dei confini, ridisegnando la sagoma dell'essere, che abbraccia tutti gli ambiti del fare, che sono in relazione tra loro, per ridefinirli in armonia con il sé e con la coppia, come in un gioco di squadra, di fiducia reciproca.
Ben vengano le politiche, allora, le misure inventate allo scopo di ristrutturare la culla del sistema comunitario e sociale. Ma ricordiamoci che all'origine delle scelte c'è una motivazione intrinseca dei soggetti, che cercano una sostenibilità di vita dentro la stessa, prima che nei luoghi fisici del vivere e prima che nello scadere dei tempi dell'organizzazione.
E forse, se ripartiamo, dal ritrovare il senso delle cose, da ciò che la parola relazione e famiglia evocavano un tempo, capiamo che lo stimolo di una nuova epoca, con un saldo generazionale positivo, sta nel riprenderci il piacere di stare al mondo insieme. Un'esperienza di appartenenza che ci ricordiamo nelle festività comandate, in cui se restiamo soli, ci sentiamo a disagio. Perché la corsa al traguardo degli interessi, ci può far dimenticare il motivo per cui corriamo. Un motivo che si rivela poi indiscutibile di fronte allo sguardo sorridente di un bambino, che dona e chiede amore senza misura, di fronte ad una perdita, o ad una malattia o crisi, che ci impone di porci la domanda delle domande: qual è il senso della mia vita? Cosa dice a me questa esperienza e cosa voglio farmene? Domande di senso che trovano spiegati i nostri sacrifici quotidiani, che gridano supporto, conciliazione, ma anche ritorno alla dimensione in cui l'essere persona veniva prima, per ritornare ad una vita in equilibrio dinamico e integrato.