I dipendenti associano i ruoli di responsabilità a stress, isolamento e compromessi personali, non a crescita e soddisfazione. La leadership diventa una “trappola” più che un obiettivo. Questo frena l’ambizione e alimenta fenomeni come quiet quitting o quiet ambition decline.
Tra le motivazioni principali il carico di lavoro e lo stress aggiuntivo. Spesso un ruolo di responsabilità significa più ore, più riunioni, più incombenze burocratiche. In molti casi, però, non corrisponde a un reale aumento di autonomia decisionale.
Anche lo scarso riconoscimento economico e simbolico, influisce sul rifiuto delle promozioni, poiché non sempre la differenza di stipendio compensa lo sforzo extra. A volte i benefit non giustificano il sacrificio in termini di tempo libero e salute. Inoltre, la mancanza di supporto organizzativo fa sì che i middle manager in particolare si trovino “schiacciati” tra direzione e team, con poche risorse ma molte aspettative. Se l’azienda non offre formazione, mentoring e strumenti adeguati, la leadership diventa un peso più che un’opportunità.
Dove, inoltre, la cultura aziendale è poco attrattiva, prevalgono logiche di controllo, conflitto e competitività interna, la responsabilità diventa sinonimo di solitudine e pressione. Molti preferiscono rimanere “un gradino sotto” piuttosto che esporsi a conflitti continui. Le nuove priorità generazionali mostrano che i più giovani lavoratori (Gen Z e Millennials) tendono a privilegiare work-life balance, benessere e tempo personale. La carriera verticale non è più vista come unico indicatore di successo: molti preferiscono crescita orizzontale (competenze, progetti, mobilità) invece che titoli e gerarchie.
Influiscono, altresì, le esperienze negative osservate, come ad esempio, vedere colleghi promossi e poi logorati da burnout, straordinari infiniti o mancanza di riconoscimento.
I vecchi modelli pesano ancora oggi. Una leadership gerarchica e autoritaria, modello “command & control”, in cui il manager dà ordini e il team esegue, oggi è percepito come poco umano e inadatto a un contesto che richiede collaborazione e autonomia. In tante aziende i middle manager hanno molte responsabilità operative, ma pochissima reale capacità decisionale, con forte frustrazione per non avere strumenti reali di influenza. Spesso la figura del manager è vista come quella che “controlla” e non come chi “abilita” la crescita del team. I giovani, in particolare, cercano figure di riferimento che li supportano, non che li giudichino soltanto. Il vecchio modello associa carriera a più ore, più sacrifici e meno vita privata e chi aspira alla leadership non vuole bruciarsi per dimostrare dedizione. Molti manager crescono per competenze tecniche, senza un vero sviluppo nelle competenze relazionali e di gestione delle persone. Di conseguenza, la leadership è percepita come “solitudine in cima”, non come lavoro di squadra. Oltre la direttiva UE 2023/970, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026 dagli stati membri, serve comprendere il valore dell’umanità nei luoghi di lavoro.
La transizione non è solo “formare i manager”, ma cambiare l’ecosistema attorno alla leadership, così che essere responsabili sia visto come un’opportunità sostenibile, non come un sacrificio. Serve ridefinire il concetto di leadership come supporto, formare i manager con strumenti pratici e soft skills, riconoscere piani chiari di carriera orizzontale e verticale, modelli di responsabilità distribuita, costruire una cultura di sicurezza psicologica in azienda.