La morte di Paolo Mendico, il quattordicenne bullizzato che si è tolto la vita a Latina, dopo un calvario durato 5 anni, ha aperto in molti la domanda su quale educazione è possibile per scongiurare questi episodi che possono toccare chiunque. In realtà non serve educare, istruire o impartire nozioni e regole. I bambini sono spugne che assorbono a partire dai primissimi anni di vita i nostri modi e i nostri comportamenti. Quindi l’educazione non avviene quando decidiamo di educarli, magari con discorsi o richiami. L’educazione avviene quando non ce ne accorgiamo, passa dalla nostra postura, dalla nostra vicinanza affettuosa, dal nostro sguardo, con cui li osserviamo e ammiriamo, dai toni di voce, dalle parole che scegliamo, dall’ascolto profondo ed empatico che ci permette di conoscerli davvero, senza filtri personali.
Questo modo di stare al fianco e in alleanza con i figli, consente loro di essere alleati con loro stessi, permette loro di accogliere tutte le sfumature di sentimenti ed emozioni senza negarle e attraversandole, fino ad elaborarle per esprimere chi sono e cosa vogliono, per poter trovare il loro posto nel mondo. Questa vicinanza travasa gli stati d’animo nella relazione affettiva primaria e genitoriale, consentendo ai bambini e ai ragazzi di rafforzare la propria identità e di esprimerla nella personalità in evoluzione. Non sentiranno il bisogno di schermarsi alzando barriere e creando distanze, per gestire il dolore, la sofferenza e la frustrazione, finendo per adottare delle maschere, difficili poi da togliere. Coperture esistenziali e surrogati di identità, come quelle adottate dal bullo, che pure ha deviato da una evoluzione funzionale che avrebbe dovuto integrare la sofferenza e la solitudine, a cui non ha trovato risposte efficaci, vicinanze possibili e dialoghi empatici. Paolo aveva denunciato, ma non abbastanza esternato il suo disagio e la sua sofferenza, per poter trovare le risposte dentro di sé e passare dalla difesa passiva ad un’azione di contrasto e di esercizio della sua libertà, anche psicologica.
Paolo era un ragazzo sensibile, amato da chi lo conosceva bene, musicista, suonava il basso e la batteria. Una riflessione su come avremmo potuto aiutare Paolo e tutti le altre vittime, è necessaria. Come aiutarli a difendersi in modo efficace, sia con gli strumenti psicologici e sia con la rete sociale, l’accompagnamento delle famiglie e dei genitori, fino alla difesa legale e alla ricerca di sicurezza. Sui casi di bullismo, in cui la devianza si è innestata nel sano sviluppo della personalità, è necessario intervenire con strumenti rieducativi e correttivi, denunciando e provvedendo a contenere i fenomeni violenti. Il supporto alla genitorialità in casi di bullismo può offrire indicazioni su come scoprire e gestire questi fenomeni, con coraggio e responsabilità, recuperando il benessere relazionale e la salute smarrita.