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Taranto, l'addio a Giancarlo Cito: conquistò la città con tv e populismo

 
Fabio Venere

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Fabio Venere

Taranto, l'addio a Giancarlo Cito: conquistò la città con tv e populismo

I funerali si svolgeranno domani 13 maggio alle 16,30 nella Chiesa della Madonna della Fiducia

Lunedì 12 Maggio 2025, 09:35

TARANTO - Giancarlo Cito ha spento, per sempre, la telecamera. La televisione e la piazza, le elezioni e le vittorie, gli errori e le sconfitte, le ovazioni e gli insulti, le condanne e gli arresti: la vita dell’ex sindaco ed ex deputato di Taranto, morto a 79 anni nella notte tra sabato e domenica, è tutta qui. E siccome gli piaceva scherzare, non poteva non farlo che in piena campagna elettorale. In questo modo, la notizia della sua scomparsa inevitabilmente fa ancora parlare di lui. E fa parlare di quello che è stato sicuramente il personaggio politico più amato e, al tempo stesso più odiato, della storia del capoluogo ionico degli ultimi decenni.

La morte, dunque. Che nella sua imprevedibilità offre sempre una logica e che, in qualche modo, si sovrappone a date precise e si identifica in periodi non banali, nel caso di Cito avviene a 13 giorni dal voto per l’elezione del prossimo sindaco di Taranto. Competizione in cui, altra coincidenza non proprio irrilevante, è candidato per indossare la fascia tricolore il figlio Mario. Sembra quasi che, in questo modo, voglia partecipare a questa campagna elettorale proprio lui che fu il primo sindaco di Taranto eletto direttamente dai cittadini (dicembre 1993) e che fu il primo, in Italia, ad usare la tivvù come strumento principale per la costruzione del consenso.

Eh sì perché Giancarlo Cito, in questi contesti, si è sempre esaltato. Ha dato il meglio di sé (o il peggio in base ai punti di vista). In televisione, ogni sera, era devastante. Stritolava gli avversari facendo ricorso ad un linguaggio caustico e usando come scudo per evitare possibili querele quel «vai a fare in..., ma sempre politicamente parlando» che resterà ai primi posti del vocabolario citiano. A dire il vero, in questo ventennio (con la v minuscola per fortuna), la palma della sua frase più celebre, urlata dal piccolo schermo, spetta e di diritto pure a quel «A Castellaneta va’ tocc’» che più volte ha indirizzato ai dirigenti del Taranto Calcio che da lui stesso erano stati privati dello stadio comunale. E probabilmente, lo «Iacovone» negato diede inizio al suo lento declino politico.

In quegli anni, Cito commise un errore: si sentì invincibile. Autosufficiente. Considerò le alleanze quasi un corollario. E così, dopo la sua elezione a sindaco nel ‘93 centrò l’approdo a Montecitorio nel ‘96 e il bis in Comune con la vittoria dell’amico di sempre, sin dai tempi del Msi e del «Boia chi molla» negli scontri dell’estrema destra a Reggio Calabria, Mimmo De Cosmo. In mezzo, nel giugno ‘94, per un soffio, perse il seggio in Ue. È questo il suo momento, elettoralmente parlando, migliore.

In Italia, si parlava tanto di lui. Si narrava del sindaco-sceriffo che riportava ordine in città a suon di multe. Fu lui il sindaco dei manganelli dati ai vigili e della caccia agli ambulanti extracomunitari, tallonati sotto l’occhio delle telecamere di At6 al suo seguito.

In quel periodo, il geometra poi divenuto dottore in Scienze giuridiche («sono un giurista», amava ripetere autocelebrandosi) pensò di vincere la partita da solo. E tra il ‘99 e il 2000, così facendo si confinò nell’isolamento. Fallì l’appuntamento con l’Europa e ruppe (ricucirà negli anni seguenti) con il «suo» sindaco, facendo cadere De Cosmo e consegnando, di fatto, la città a Rossana Di Bello, simbolo di Fi in riva ai Due Mari.

Successivamente, la morte di Pinuccio Tatarella, il «ministro dell’armonia» e fautore dell’alleanza tra il centrodestra e Cito, non lo aiutò di certo. Anzi, l’ormai ex sindaco di Taranto perse sponde credibili in quello che all’epoca si chiamava ancora Polo della libertà. E così, nel 2001, si ripresentò alla Camera nel collegio 15, quello in cui, cinque anni prima, aveva stravinto. Ma questa volta, sceso in campo in solitudine solo sotto il simbolo di At6 Lega d’azione meridionale, fu sconfitto.

E si arriva così al 2004. Fu questo l’annus horribilis di Cito: varcò, infatti, l’ingresso del carcere per la condanna passata in giudicato per concorso esterno in associazione di stampo mafioso.

Il 2007, invece, fu l’anno in cui At6 si riorganizzò. Giancarlo si ripresentò alle Comunali e candidò a sindaco il figlio Mario. Certo, la lista non incassò più le percentuali bulgare del ‘96, in cui superò il 30 per cento, ma divenne comunque il primo partito della città. E questo avvenne a diciasette anni di distanza da quel maggio ‘90 che sconvolse la politica ionica. Cito junior, per un soffio, non arrivò al ballottaggio, ma ci andò Gianni Florido che perse nettamente nella sfida fratricida con Ezio Stefàno. Alle provinciali 2009, ci fu un improvviso boom: At6, conquistò in città uno straordinario 30 per cento. Non accadrà mai più.

Alle Comunali 2012, il centrodestra puntò su Condemi e Giancarlo Cito ripresentò il figlio Mario. Il sindaco uscente, Ezio Stefàno, per un manciata di voti, non vinse al primo turno e quindi il candidato di At6 arrivò comunque al ballottaggio, ma fu sconfitto.

E, infine, alle Comunali 2017, Mario Cito si piazzò al terzo posto con il 12,4 per cento mentre alle successive amministrative (maggio 2022), la tivvù-partito andò di poco oltre l’1 per cento e, per la prima volta, non entrò in Consiglio comunale. Fu in quelle occasioni, tre anni fa quindi, che Giancarlo Cito si vide pubblicamente per l’ultima volta. Nessun comizio, ma solo qualche timido sorriso a chi gli andava incontro per strada. Non era più lui. Aveva già parcheggiato il bulldozer nel garage di casa. Ora, anzi tra qualche anno, sarà la Storia a giudicarlo. I funerali si svolgeranno domani alle 16,30 presso la Chiesa Madonna della Fiducia.

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