TARANTO - «Il processo ha dimostrato che se Alessandro Morricella, avesse indossato i dispositivi di protezione avrebbe evitato i danni che lo hanno condotto alla morte». È quanto sostiene l’avvocato Olmo Corrado Artale, difensore dell’ex dirigente Vito Rizzo, nel ricorso contro la sentenza con la quale la giudice Federica Furio a febbraio scorso ha condannato a 6 anni di carcere Ruggiero Cola, all’epoca direttore della fabbrica, a 5 anni per i dirigenti Vito Vitale e Salvatore Rizzo per cooperazione in omicidio colposo dopo l’incidente che costò la vita all’operaio dell’ex Ilva colpito da una fiammata a giugno 2015.
Nella sua sentenza, oltre a disporre il risarcimento nei confronti delle parti civili Cgil Taranto, Fiom Cgil e Anmil, costituite attraverso gli avvocati Claudio Petrone, Massimiliano del Vecchio e Mariella Tritto, la giudice Furio ha invece spiegato che «se anche il Morricella avesse indossato la cappottina e le ghette alluminizzate, composte dello stesso materiale dei guanti, avrebbe avuto comunque lesioni da calore sul 90 per cento del corpo» che lo avrebbero comunque portato alla morte. Insomma per la giudice, che ha sostanzialmente accolto la ricostruzione fatta dal pubblico ministero Francesco Ciardo, l’unico modo per scongiurare quella tragedia «sarebbe stato evitare che il colatore si trovasse nella direttrice del foro di colata al fine di effettuare il prelievo della temperatura».
Per la difesa di Rizzo, invece, le cose non stanno così. «L’ipotesi per cui il Morricella si sia ritrovato al centro di un’onda di fiamma, residui e calore persistente - si legge nell’atto d’appello - originatosi dal foro di colata, che lo abbia avvolto per circa 20 secondi è totalmente insostenibile» perché se così fosse statp «il decesso, in altre parole, sarebbe stato pressoché istantaneo». Artale sottolinea invece che i colleghi hanno raccontato di aver visto il 35enne mentre si allontanava dal punto e che abbia parlato subito dopo quella fiammata. Per la difesa in realtà solo l’onda di calore, durata pochi secondi, lo avrebbe investito provocando l’incendio dei vestiti che indossava: in particolare sarebbe stata la giacca blu a prendere fuoco perchè non era protetta dalla cappotta alluminizzata.
Per il giudice Furio, però, l’errore era precedente: «per la mansione che svolgeva il “colatore” Morricella c’è stato in primo luogo una erronea valutazione dell’indice di rischio, con conseguente mancata adozione di tutte le misure per ridurre tale grave rischio». La difesa, invece, sostiene che quel fenomeno non solo non si era mai verificato prima, ma non era nemmeno prevedibile. Non solo. L’avvocato Donatello Cimadomo che assiste l’ex direttore Ruggiero Cola, ha specificato che la causa che ha scatenato quella fiammata «è rimasta ignota» e «nonostante i contributi scientifici, tutti certamente apprezzabili, non è stata fornita una prova certa su quanto occorso in occasione della sfiammata sul campo di colata». Per questo e altre ragioni, gli avvocati Artale e Cimadono, insieme con il collega Luca Sirotti che assiste l’ingegner Vitale, hanno chiesto alla Corte d’appello di riaprire l’istruttoria processuale e rivalutare tutte le prove emerse che, secondo la difesa, dimostrano la piena estraneità dei loro assistiti.