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Omicidio San Marzano: gli indagati dal giudice

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Omicidio San Marzano: gli indagati dal giudice il delitto

D’Angela ha fornito finora tre diverse versioni di quanto accaduto quel pomeriggio

Lunedì 11 Dicembre 2023, 11:28

SAN MARZANO DI SAN GIUSEPPE - Dovranno comparire questa mattina dinanzi al gip Francesco Maccagnano i due indagati finiti in carcere con l’accusa di omicidio e tentato omicidio dopo il delitto di Antonio D’Angela, il 59enne agricoltore ucciso a San Marzano di San Giuseppe alla vigilia dell’Immacolata da un proiettile che lo ha raggiunto alla gamba recidendo l’arteria femorale. In cella da qualche giorno ci sono il figlio 27enne della vittima, Angelo D’Angela, e il presunto complice Massimiliano Papari, 42enne anche lui di San Marzano. Accompagnati dal proprio difensore, l’avvocato Biagio Leuzzi, i due dovranno decidere se avvalersi della facoltà di non rispondere oppure fornire la propria versione dei fatti e offrire al giudice una ricostruzione differente dell’accaduto.

Sono già tre le versioni offerte finora al pubblico ministero Francesco Ciardo che ha coordinato l’inchiesta dei carabinieri della Compagnia di Manduria: il magistrato inquirente infatti ha interrogato per tre volte il figlio della vittima che in ogni racconto ha modificato piano piano i fatti.

Nella prima versione aveva spiegato che intorno alle 19 si trovavano nel loro fondo in contrada Principe e il padre era uscito dalla stalla «per raccogliere la verdura» e a un certo punto lui aveva sentito «un botto»: raggiunto il padre lo aveva trovato sanguinante e nello stesso frangente era sopraggiunto il suo amico Papari e insieme aveva caricato il ferito a bordo dell’auto di quest’ultimo e lo avevano condotto all’ospedale Giannuzzi di Manduria dove il 59enne è però morto dissanguato. Papari invece nella sua prima versione aveva sostenuto di non aver incontrato il figlio della vittima, ma solo quest’ultima che gli aveva chiesto di accompagnarlo al pronto soccorso.

Nella seconda versione offerta da Angelo D’Angela, invece, la vicenda è cambiata: tra le diverse modifiche il 27enne ha parlato per la prima volta della pistola che, a suo dire, una volta trovato il padre riverso per terra in una pozza di sangue, proprio quest’ultimo gli avrebbe passato togliendosela da una tasca. La contraddizioni hanno spinto il pm Ciardo a iscrivere i due nel registro degli indagati e a nominare un avvocato per interrogarli una terza volta.

E in quest’ultima versione, D’Angela ha dovuto ammettere una serie di elementi che intanto gli investigatori avevano raccolto come il primo litigio avvenuto nel pomeriggio nella sede dell’associazione trainieri di San Marzano con Cosimo Damiano Lonoce e il figlio di quest’ultimo Giovanni: ha confermato che anche alle 19 i due erano giunti davanti al loro fondo e che erano stati aggrediti dal padre e da Papari e durante quella colluttazione sarebbe partito il colpo che ha colpito il genitore. In quest’ultimo racconto, però, ha accusato di Lonoce di aver sparato contro il padre e anche di averlo investito con l’auto mentre tentavano di scappare. Anche questa terza versione, per il magistrato, non è stata convincente. Il colpo secondo la procura lo avrebbe esploso proprio il figlio: avrebbe dovuto raggiungere Cosimo Damiano Lonoce, ma per errore ha colpito suo padre.

Tutto era cominciato nella sede della «associazione trainieri» e al centro della disputa c’era l’accusa mossa dai D’Angela e Papari ai Lonoce di aver dato fuoco, mesi prima, al fienile dei primi. Grazie all’intervento dei presenti, il diverbio è stato sedato, ma qualche ora dopo il gruppo si è ritrovato dinanzi al fondo dei D’Angela, in località «Principe» e lì secondo la versione ritenuta attendibile dalla procura, sarebbe stato Papari a convocare gli avversari ufficialmente per appianare definitivamente le divergenze, ma per il pm Ciardo e i militari dell’Arma, guidati dal capitano Alessandro Torto, quell’incontro chiarificatore nascondeva un vero e proprio agguato a mano armata per la resa dei conti.

Nell’accusa mossa dagli inquirenti, infatti, si legge che appena scesi dall'auto i Lonoce venivano aggrediti da Angelo D’Angela che aveva con sé una pistola mentre Papari brandiva una roncola e dalla stessa vittima Antonio D’Angela con un grosso bastone. I tre avrebbero assalito i Lonoce con «inaudita violenza» tanto da distruggere l’auto su cui erano arrivati. Per il magistrato è in quella fase concitata che si verificava l’esplosione del colpo di pistola. A sparare, per l’accusa, è stato Angelo D’Angela e a inchiodarlo ci sarebbero le dichiarazioni rese da Cosimo Damiano Lonoce che ha dichiarato che il 27enne gli aveva puntato una pistola: il potenziale bersaglio di quell’agguato, però, ha aggiunto di non aver né visto né sentito l’esplosione. Lonoce, infatti, alla vista dell’arma avrebbe istintivamente abbassato la testa e proprio in quel momento Antonio D’Angela aveva conficcato un palo nel parabrezza dell'auto. Per la procura, quindi, gli elementi finora raccolti portano a pensare che il rumore del vetro in frantumi abbia coperto il colpo di pistola, ma soprattutto che Antonio D’Angela fosse sulla traiettoria scelta dal figlio per colpire il suo avversario.

Ed è per questo che il pm Ciardo ha contestato il reato d’omicidio volontario: il codice penale, infatti, prevede che se un reato viene compiuto ai danni di una persona differente da quella inizialmente scelta dall’autore, questi debba rispondere in ogni caso dello stesso reato. In questa vicenda, quindi, per la procura, Angelo D’Angela aveva deciso di uccidere Cosimo Damiano Lonoce e anche se il colpo ha raggiunto suo padre, deve comunque rispondere di omicidio. Dalla stessa accusa deve inoltre difendersi anche Massimiliano Papari.

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