Mentre a Roma si tratta, a Milano si prepara la lite. Sono giorni frenetici per il futuro dello stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto e dei suoi 10.700 dipendenti, 8.200 dei quali nell’acciaieria della città dei due mari. Entro il 31 gennaio va trovata una intesa tra ArcelorMittal, la multinazionale dell’acciaio che gestisce il complesso aziendale ex Ilva dall’1 novembre 2018 in fitto finalizzato all’acquisto, da un lato, Ilva in amministrazione straordinaria e Governo dall’altro. Le parti domenica scorsa, dopo giorni di «freddo», si sarebbero riavvicinate ma ieri, il deposito delle memorie della Procura di Milano e dei commissari straordinari dell’Ilva nel procedimento civile incardinato dinanzi al tribunale del capoluogo lombardo, ha contribuito, e non di poco, a far aumentare la temperatura e la tensione.
Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e i sostituti Stefano Civardi e Mauro Clerici, titolari dell’inchiesta su ArcelorMittal Italia proprio a seguito del recesso dal contratto di acquisto fatto dalla multinazionale il 4 novembre scorso, in due pagine hanno confutato la tesi dei legali di Mittal, non usando mezzi termini.
In particolare, secondo i magistrati, ArcelorMittal manifesterebbe una «insofferenza per l'interesse pubblico», chiedendo che la Procura di Milano non partecipi alla causa nata dal ricorso d'urgenza presentato dai commissari della ex Ilva per scongiurare la fuga della multinazionale dall'acciaieria di Taranto. «Il tentativo «di espungere gli elementi che la Procura offre alla valutazione del Tribunale» si può spiegare «verosimilmente anche per la rilevanza che questi elementi potrebbero assumere nel contrastare le ragioni di ArcellorMittal» si legge nella memoria. I legali della multinazionale avevano sostenuto nella loro memoria del 16 dicembre scorso che la Procura non potesse «versare in un giudizio civile elementi istruttori acquisiti al di fuori di ogni contraddittorio nonché del controllo del giudice civile, evenienza mai verificatasi in Italia e, per quanto si sappia in qualsiasi Stato di diritto». Parole che, secondo i pm, o sono «il portato di un artifizio retorico eccessivamente spinto» o denotano «scarsa memoria». «Si ricorda come il recesso dai contratti d'affitto operato con le modalità concretamente adottate dalla concessionaria, interrotte solo grazie all'invito del tribunale, arrechi un irreparabile nocumento ad impianti industriali strategici a presidio della cui integrità sono facilmente invocabili anche norma sanzionatorie penali» scrivono i pm di Milano, sottolineando che il ricorso della procura della Repubblica «è pienamente ammissibile e coerente coi doveri dell'ufficio» dal momento che risponde al concetto di «interesse pubblico».
Come detto, anche i commissari straordinari di Ilva hanno depositato una memoria, condensando in 77 pagine firmate dagli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni le loro conclusioni. I legali di Ilva in As innanzitutto sottolineano il valore dell'ordinanza con la quale il 7 gennaio scorso il tribunale dell'appello ha concesso la facoltà d'uso all'altoforno 2, nelle more dello svolgimento di lavori di messa in sicurezza, specificando come con tale provvedimento è «venuto meno, già in fatto, il presupposto di gran parte delle argomentazioni» di ArcelorMittal, pur se viene, peraltro, sottolineato che comunque non vi sarebbe stata alcuna ontologica incompatibilità tra l’ordine del giudice penale che inibisse l’uso dell’altoforno 2 dell’impianto di Taranto sino alla realizzazione del sistema automatico di colata e la esecuzione del contratto di fitto finalizzato all'acquisto del complesso aziendale ex Ilva. I commissari poi alzano il tiro, sostenendo che «ArcelorMittal non» ha «mai regolarmente adempiuto al contratto, ed il livello del proprio inadempimento si sia gradualmente accresciuto mano a mano che controparte comprendeva la propria inabilità a gestire in modo economicamente efficace i rami d’azienda dalla stessa presi in carico», non portando «avanti la realizzazione del Piano Ambientale nei tempi e con gli investimenti programmati», non eseguendo «il programma di manutenzione concordato nell’ambito del contratto in modo coerente alle migliori pratiche di esercizio», non operando «gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevità: anziché utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone in operatività non più di due contemporaneamente».
Insomma, per i legali di Ilva in As, «l’idea che» tutte le violazioni contestate ad ArcelorMittal possano essere definite come «adempiere esattamente al contratto suona per la verità come beffa irrispettosa (anche del Tribunale) anziché un argomento serio».
Viene, infine, calcolato anche il danno provocato dall’inadempimento di ArcelorMittal al progetto di rilancio dell’Ilva: stimato un impatto pari ad una riduzione del Pil di 3,5 miliardi euro, pari allo 0,2% del Pil italiano e allo 0,7% del Pil del Mezzogiorno. Davvero tanta roba.