Italia-Inghilterra ha sempre un sapore speciale. Non ha i connotati delle sfide contro il Brasile, da sempre un territorio a parte nel «Mondo» del pallone: esame di tecnica e resistenza alla tecnica a tutti gli effetti; non è neppure Italia-Germania, novanta minuti nei quali si mescolano tattica, storia e rivendicazioni; e neanche Italia-Francia, diventata negli ultimi tempi una sorta di istanza degli «umili» (noi) nei confronti di chi si è iscritto, da poco, al club delle grandi potenze calcistiche. Italia-Inghilterra, per dirla alla Limahl, è la «never ending story» calcistica, con i «Maestri» che non vincono più niente da secoli e gli azzurri sempre pronti a cogliere l’attimo fuggente per bocciare qualsiasi tentativo di chi va avanti con la solita litania di aver inventato il calcio.
Italia-Inghiterra riporta la Nazionale di Mancini a vivere una partita «vera» dopo aver visto i Mondiali in tv. È lontana anni luce da quella mitica, e ingombrante, finale vinta a Wembley, Euro 2021. Da quel momento l’Italia s’è persa, anziché desta. Ed oggi prova nuovamente a rimettersi in pista, a recuperare la nobiltà perduta e la dignità smarrita dopo due Mondiali consecutivi mancati.
Non sarà facile, non sarà semplice. Il discorso non va circoscritto alla prima partita di un nuovo, «nuovo corso». Le parole di Mancini nei giorni scorsi, ma anche quelle del ct U21 Nicolato, lo raccontano con maggiore nitidezza. E francamente è un discorso che un po’ fa paura, calcistica, pensando al futuro. In Italia la mancanza di talenti, ma anche di giovani in grado di poter competere ad alti livelli, sta diventando un problema. La ricerca forsennata di un-attaccante-uno, la denuncia che non c’è più gente capace di cercare «l’uno contro uno», sinceramente lasciano sgomenti. Perché l’uno contro uno è un po’ la base del calcio. «Punta e dalla», «punta l’avversario e dai via la palla». Era questa la litania che ripetevano vecchi maestri del calcio qui a Bari, e magari non solo a Bari. Quando i settori giovanili erano davvero serbatoi, quando i settori giovanili facevano crescere i piccoli calciatori, quando esistevano gli insegnanti di calcio, palloni di cuoio vero e ripetizioni di interno piede, destro e sinistro, di fronte al muro. Quando il vincere ad ogni costo non era un’esigenza. Ma significava costruire giocatori.