CASTELLANA GROTTE (Bari) - La musica porta con sé tanti ricordi preziosi che si riflettono nel presente. Batte forte il cuore siculo di Mario Biondi (nato Mario Ranno) quando ripensa alla sua lunga e prolifica attività professionale.
Questa sera alle 21 il cantante catanese sarà ospite della rassegna di eventi «Piazze d’Estate» promossa dal Comune e dalle Grotte di Castellana: un desiderio condiviso dal sindaco Domi Ciliberti e dal presidente Francesco Manghisi, per regalare alla cittadina pugliese un evento speciale.
Ha cominciato da piccolo cantando il gregoriano in chiesa: cosa le ha lasciato quell’esperienza e com’è avvenuta la metamorfosi da Mario Ranno in Mario Biondi?
«Mio padre Giuseppe era già un cantante abbastanza affermato in Sicilia, avendo fatto diverse cose con Pippo Baudo, mentre mia nonna cantava per l’EIAR negli anni ‘40. Tutto ciò che aveva a che fare con la musica era utile per nutrire la mia voglia di crescita. Così, quando ho avuto occasione di imparare i canti gregoriani, l’ho fatto e devo dire che ricordo ancora tutte le parole in latino! Mi ha ispirato tantissimo, anche per l’impostazione vocale».
Perché ha scelto di seguire il soul e il jazz e cosa hanno da dire, oggi, questi generi musicali?
«Ho iniziato quasi per caso ascoltando cantanti come George Benson e Michael McDonald. È stato subito amore ed è iniziata la mia ricerca musicale: che cosa volevo dire con la musica è perché mi trovavo così a mio agio con quel genere in particolare? La musica esprime la nostra personalità. Il soul e il jazz incoraggiano la vita, la gioia di vivere».
Cosa pensa di aver trasmesso al pubblico in questi anni?
«A saperlo sarebbe bello (ride)! Mi rifaccio ai commenti di tantissimi fan: stranamente capita loro ciò che accadeva a me ascoltando i grandi a cui mi sono ispirato e questo mi lusinga, mi fa capire che il linguaggio del soul e del jazz è positivo e trasmette vibrazioni buone».
Come mai la scelta, da siciliano, di cantare in lingua inglese?
«È stato un po’ casuale, perché ho cominciato a fare pianobar negli anni ‘80, finché finii al “Tout va”, un locale molto importate di Taormina, e, in questo posto, c’era una clientela internazionale, di conseguenza il mio repertorio doveva soddisfare le esigenze del pubblico. All’epoca non era semplice come oggi, perché non i testi non erano reperibili sul web. Nel tempo, grazie allo studio, sono riuscito a migliorare e continuo a farlo tuttora».
Le fa molto onore.
«Credo che ciascuno di noi voglia implementare il suo valore e la sua conoscenza. Quando non avrò più voglia di migliorare, mi ritirerò in eremitaggio!».
Che ricordi la legano alla Sicilia?
«Sono molto legato alla Sicilia, malgrado abbia vissuto molto più in Emilia Romagna. È un territorio fantastico con tante potenzialità ancora inespresse. Rassomiglia un po’ a un bambino molto piccolo oppure a un vecchio saggio, contiene al suo interno diverse realtà contrastanti.
C’è un successo professionale a cui è particolarmente affezionato?
«Brani come “Be Lonely” che hanno sovvertito le dinamiche dei discografici, che, al tempo, pretendevano di obbligare a mantenere un cliché solo perché funzionava. Non faccio musica perché funziona, ma perché amo farla e cerco di condividerla con persone che abbiano voglia di appassionarsi insieme a questa musa che regala tante emozioni».
















