Un gruppo di persone a volto coperto ha colpito quattro sedicenni egiziani durante la serata di Ognissanti nei pressi della villa comunale di Andria e due delle vittime, dopo le bastonate, sono finite in ospedale; si ipotizza un movente razziale. Nascondere la faccia e farsi branco per aggredire con l’intento di cancellare il volto dell’altro proprio perché invece è scoperto, proprio per la sua libertà, la sua storia, la sua identità, la sua normalità nello stare. Si perdono le identità, da entrambe le parti, e si diventa due versanti di un muro, di una costruzione che non serve a reggere niente, solo a separare, solo a non lasciar passare, un angolo ottuso.
Una settimana prima, sempre ad Andria, un altro episodio di violenza ai danni di un diciottenne, aggredito per due giorni di seguito, vittima designata per il proprio orientamento sessuale.
Ancora una volta un tratto di una persona viene estrapolato e strumentalizzato per caratterizzarla in tutto, per incastonarla senza che ne abbia contezza o volontà in un mattone di quel muro, per considerarla meno e farle perdere la voce, i tratti, l’essenza.
L’eterofobia è la paura del diverso, di tutto ciò che viene percepito come differente da sé, e si esprime al suo massimo proprio quando gli uomini decidono di mostrarsi uguali, di indossare un passamontagna o un cappuccio o il buio della sera, e di muoversi come gruppo, di alimentare l’odio insieme ai propri simili, puntualmente in superiorità numerica per legittimare, appunto, quel senso infondato di superiorità altra.
Sono due casi di cronaca, questi, che colpiscono perché avvenuti a pochi giorni di distanza nello stesso comune, ma che rappresentano benissimo l’intera nazione, la rabbia, la noia, la violenza di questo tempo che spesso riguarda purtroppo proprio i giovanissimi e dunque, per questo, riguarda il futuro.
Sono atti criminali e non bravate, come ha sottolineato il segretario cittadino dem Giovanni Addario.
Ed è una questione di sicurezza, certo, ma di cultura, anche.