E non finisce qui. Non con le barriere a mezz’asta nel giorno del lutto cittadino, non con il silenzio e il raccoglimento nei luoghi di lavoro, non con una maggiore sinergia tra i centri antiviolenza e le forze dell’ordine. Perché il femminicidio di Hayat ci dà purtroppo un’amara lezione su tutti i fronti, di quelle che non vorremmo mai avere, ma che la vita non smette di darci nelle sue infinite giravolte. E ciò che è accaduto a questa donna sa proprio di tragedia greca, a mettere insieme alcuni inquietanti dettagli purtroppo reali e che sarebbe stato suggestivo rubricare solo in un romanzo. Di stile noir magari, ma un romanzo. Che non è la realtà. E invece la realtà ci dice persino di manifesti funebri con il volto di questa donna, cornice macabra per chi è in vita. Terrorizzata e viva. O forse è una quasi-morte. Persino la via della sua abitazione, Cibele, ha un che di fatale, nel nome di questa dea simbolo della forza distruttrice della Natura. Vero è anche che la stessa divinità è a capo della forza creatrice. Ci piace pensare che si possa partire almeno da qui, perché ciò che si distrugge si crei in altre forme. Si ha un bel dire di una cultura dei sentimenti e del rispetto da inculcare sin dalla più tenera età, con corsi mirati, in una sorta di formazione permanente. Approcciarsi a questi ambiti come si studierebbe una qualsiasi materia dell’obbligo. E si ha un bel dire anche della sensibilizzazione nelle scuole, nei confronti di quella generazione che ai traguardi del rispetto dovrebbe già esserci arrivata da tempo. E non è neanche questione di integrazione. Perché Hayat integrata lo era, come una donna della nostra comunità a tutti gli effetti, con il suo lavoro e le sue amicizie. E allora cosa si può fare, cosa è in nostro potere modificare? È difficile dare una risposta univoca. È una piaga che non ha punti di sutura standard, se con una frequenza impressionante il fenomeno dilaga, e a tutte le età. Non è dunque questione di immaturità, di adolescenza inquieta e ribelle, di patriarcato. No, non è tutto questo. Nel caso di Hayat è stata solo furia cieca; gli abiti ancora sporchi di sangue – ulteriore, orrendo dettaglio da tragedia greca – dell’uomo che l’ha uccisa sono lì a testimoniarlo. Non ci sono purificazioni possibili, per rimanere in ambito tragico. E nell’assenza persino di parole che questo spietato omicidio ha generato, che ci possa essere almeno lo spazio della riflessione. Per tutti. Che possa precedere azioni concrete e consapevoli che vadano oltre il fiore sulla tomba di Hayat o le scarpe rosse divelte.

Oltre i fiori e le scarpe rosse divelte
Domenica 17 Agosto 2025, 09:34