Se uno fa burp vuol dire che ha bevuto. Se ha bevuto vuol dire che ha stappato una Peroni. A Bari c’è San Nicola, lo veneriamo, non si sa mai, manna e tutto. Ma ugualmente ci segniamo, bisbigliamo giaculatorie passando davanti alle reliquie del vecchio stabilimento di via Amendola in fondo, o in tangenziale a vista dell’industria che sfiata gas freschi aulentissimi dal ’63, uscita Picone.
Che l’azienda sia stata fondata a Vigevano nel 1846 non ce ne frega nulla. La Peroni è stata fondata a Bari negli anni Venti, da quando qua incominciammo a produrla. È di proprietà nostra. È il marchio nostro. La centrale non è a Roma come scrive «Il Sole 24 Ore». Che la procreino pure a Padova ci fa leva all’appendice burrascosa che ci pende sotto. La verità è che quasi due milioni di ettolitri all’anno li beviamo noi. E soltanto noi, pure a Mosca, riconosciamo la frequenza della nota musicale peronica nel tonitruare del berotto. E sorridiamo in cuor nostro.
Viva la Peroni. Amare la Peroni. Noi siamo Peroni: basta. Punto. Chi gioca la «passatella» ed espone l’avviso falso davanti al locale senza licenza, «quà (con l’accento, a fforz’!) è vietato fare la passatella»? Noi. Chi va in vacanza a Nottingham, trova la Peroni nel pub (pure lì la vendono), la ruba e manda il selfie agli amici con la cannella in bocca, fregandosene di Robin Hood? Noi. Chi la ama quanto la Bari, l’Inter e la Juve? Chi è più cristianamente fedele di noi? Nessuno.
Avete mai visto altarini di Dreher a N-dèrre la lanze? No, solo casse Peroni. I boss agli infami concedono forse come ultimo desiderio una Paulaner prima di spedirli all’altro mondo? No: 33 cl della bionda targata rosso e oro. Chi faceva da giovine le «indianate» con la Peroni finendo al Policlinico in coma etilico? Noi. Chi teorizza focaccia e Peroni, polpo e Peroni? Noi. Chi si è genuflesso al passaggio dei tre colossali serbatoi nuovi di fermentazione giunti dai Paesi Bassi nel marzo scorso, accettando con gioia il blocco totale del traffico verso via Bitritto per ore? Noi. Certo, poi si è saputo che tale investimento nipponico (la Asahi millanta di aver acquisito la proprietà da po’: mah) di 1,6 milioni di euro è orientato a pratiche sacrileghe e di perversione, quali affermare il marchio nel segmento birre analcoliche, elevare le performance ambientali (che ce ne freca a noi). Ma un devoto a Peroni è pronto al martirio pur di eternare la fiamma bionda del più barese fra i dogmi.