«Tu non sei un cavallo. Tu sei un cittadino democratico e io ti devo rispettare». L’interpretazione suprema di Gian Maria Volontè del «dottore» in «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto», mi è tornata con prepotenza alla memoria ascoltando le varie ricostruzioni dell’incontro di martedì 11 novembre tra governo e sindacati sul piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva e la conseguente previsione di circa seimila cassintegrati dal primo di gennaio 2026. ‘Un cassintegrato chiamato cavallo’, verrebbe da parafrasare, ricordando un vecchio film del 1970. Non fosse una tragedia, ci sarebbe da sorridere. Alcuni rappresentanti sindacali hanno esternato da par loro. Per Michele di Palma (Fiom) quello presentato è un piano di chiusura, per Rocco Palombella (Uilm) è un piano di morte e per Ferdinando Uliano (Fim) è un tradimento.
L’ex Ilva, è noto, sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio. Il futuro non le appartiene più. Così come è diventata, alla fabbrica dell’acciaio di Taranto è consentito solo il passato, visto che convive con difficoltà i limiti del presente. I lavoratori, poi, sono un maglio lesionato dall’usura. Troppe vicende, troppe contraddizioni, troppe amarezze hanno ne rimpicciolito la valenza critica, al punto che anche la portata drammatica del numero di cassintegrati è attutita, ovattata, impoverita.
La consapevolezza che non si può chiedere la cura a chi ha provocato la malattia, mette il resto. Sembra proprio non ci siano vie d’uscita, questa volta. Se l’ex Ilva si ferma, chiude. Il contraccolpo sociale e economico provocato da tale avvenimento sarà amarissimo. Il contraccolpo ambientale e sanitario provocato da tale avvenimento sarà dolcissimo. Il fallimento è tutto di chi non ha saputo tenere insieme due esigenze primarie in modo equilibrato e onesto: Taranto ha bisogno di lavoro quanto ha bisogno di serenità. Quello che accadrà all’ex Ilva ora, è difficile da pronosticare. Di solito, i presupposti più spaventosi generano ritardi e rinvii. Si sposta tutto a dopo, sperando nel solito miracolo italiano dell’ultimo minuto. Qualcuno sostenne che la bandiera tricolore, pulita dallo stemma sabaudo il 19 giugno 1946, avrebbe dovuto avere stampata al suo posto la scritta ‘Tengo famiglia’. Nel luglio di quattordici anni dopo, fu posto il primo mattone dell’acciaieria sullo Jonio. Il 15 luglio del 1965 toccò ad Amintore Fanfani il compito dell’inaugurazione dell’Italsider. Sono passati sessanta anni, le enciclopedie attendono ulteriori aggiornamenti.














