Tempi cupi. Di un buio difficile da stenebrare. Mentre il ciclico manifestarsi della crisi energetica torna a squassare i mercati, contrapposizioni belliche che credevamo archiviate si sono riproposte trovando corpo e alimento proprio nel dominio di quelle materie prime cui siamo irrimediabilmente diventati dipendenti.
Oggi che l’idea di una transizione ecologica risolutiva - a lungo caldeggiata nei corridoi della politica - pare destinata a rimanere una chimera, ci piace ricordare l’importante contributo che il Mezzogiorno seppe dare alla discussione con uno scatto d’onore e d’orgoglio che proprio in queste settimane rintocca il suo quarantennale.
Era il giorno della Befana del 1982 quando nel piccolo centro di Avetrana, ultimo bastione dell’agro tarantino (ma di antica appartenenza salentina), si svolse la prima grande manifestazione contro il nucleare.
In quegli anni, infatti, il piano energetico nazionale concordò la costruzione di due nuove fonti di alimentazione nella nostra regione: a Brindisi una mega centrale a carbone e, a ridosso del territorio di Avetrana, una centrale nucleare.
Contro l’ultima delle due ipotesi le forze politiche che amministravano la cittadina e i movimenti ambientalisti dell’intera provincia insorsero, compattandosi.
Avetrana era allora una città priva di difese: nessun rappresentante di rilievo in Parlamento e peso equivalente a zero sul nascente circuito virtuoso del turismo: un villaggio ai piedi di Cristo di cui poco o punto si sapeva e che sembrava perciò calzare perfettamente, complice l’ubicazione a due passi dallo Ionio in cui le acque di raffreddamento del reattore potevano essere sversate, alla rapida costruzione di un impianto tecnologico che avrebbe attenuato il carico del caro-bolletta sul portafogli nazionale creando però, di fatto, nuovi e irrisolvibili (per la tecnologia dell’epoca) problemi in termini di stoccaggio delle scorie.
Oggi la questione è ancora dibattuta (l’eliminazione degli scarti radioattivi resta faccenda di difficilissima gestione, anche per le centrali di quarta generazione) e certo aver rifiutato quel tipo di opportunità ci ha esposto a debolezze di cui oggi l’intera penisola paga il fio, ma chiunque sia cresciuto in questa parte di Sud non può non ricordare il forte senso di comunanza che si respirava in quei giorni: fu una stagione di lotta di cui persino chi era solo un bimbo, come chi scrive, percepiva la forza.
Piazze e contrade di tutto il Meridione, irraggiandosi della spinta propulsiva degli avetranesi, si contaminarono di una fratellanza che oggi guardiamo con nostalgia. Aspettando che il suo caldo abbraccio torni a sostenerci per il futuro.