Le geometrie variabili di Elza hanno sapori, colori e parole. Vuole apparecchiare quadri e sculture tra khinkali e kachapuri, tra gnocchi di carne e focacce sottili di formaggio e yogurt del Caucaso. Pitture e mosaici tra chakhoknbili e fette di kolio, tra polli in salsa di peperoncino, peperone, coriandolo, sale, aglio e nocciole e dolci di farina bollita, miele, noci, mandorle e uvetta. È questa la sfida possibile di Elza Abramishvili, biondina 43enne, georgiana di Avlabari e italiana d’adozione. Elza comincia dalle parole. Detesta il termine badante. Non sa che fu Bossi a inventarlo per inferiorizzare il lavoro di cura delle straniere né che quel lemma del cielodurismo è stato adottato e normalizzato dalla burolingua. Con un tono di voce sostenuto, declina l’impresa: «Ho aperto un ristorante perché è arrivato il momento che qualcuno cominci a dimostrare che le georgiane non sono tutte badanti».
Un ristorante contro gli stereotipi. È il primo in Puglia, sicuramente il primo a Bari: via Re David 11. L’insegna è spenta e la scritta ribaltata: «Georgia. Bar ristorante». Non ha lavorato molto di fantasia, Elza, ma bisognava marcare l’identità per scrivere un capitolo inedito. «Non mi risulta che ci siano in Italia altri ristoranti dove si preparano piatti tipici della cucina georgiana», azzarda. I 150 metri quadrati di sala pranzo per 30 coperti rilasciano olezzo di stucco. Tutto è tirato a nuovo, con una predilezione per un rosa sfumato che evidentemente non è casuale. «Sono andata via dopo la rivoluzione delle Rose, avevo 34 anni. Il mio primo figlio l’ho avuto a 17 anni, e io di anni ne avevo 26. Non ho studiato molto. Sono stata comunque una buona mamma. Sai perché? Non gli ho mai fatto mancare la lettura, l’ho cresciuto leggendo fiabe e racconti. Mia figlia ha 22 anni e da cinque mesi è qui con me, mi dà una mano. Dopo la separazione dal mio ex marito non avevo molta scelta. Non sono venuta qui in Italia per far comprare le sigarette a mio figlio. Lui ha studiato e lavora nelle guardie del corpo presidenziali».
Seduta a una tavolo al centro sala, Elza prosegue il racconto come se stesse in cucina. Mescola fatti, ricordi, singhiozzi, pause. Fonde storia e speranza, condisce le delusioni con i progetti. La Georgia lasciata ai tempi della cacciata dell’ottantenne Eduard Shevarnadze era salutata con entusiasmo e fiducia dalle democrazie occidentali. Shevarnadze partirà alla volta di Mosca e nel gennaio 2004 farà posto a Mikhail Saakashvili, per tutti Misha, leader carismatico della rivoluzione delle rose, del novembre 2003. Elza all’epoca, come la stragrande maggioranza dei georgiani che vivevano sotto la soglia minima della sopravvivenza, non ha espresso semplicemente un voto, ma la richiesta di un riscatto. Quel riscatto mancato o realizzato in parte, figlio comunque di un’ingerenza di Washington e Mosca, è ancora sotto scrutinio. Nelle prossime settimane si andrà al voto.
Misha ha messo la colla alla poltrona, si ricandida dopo aver modificato la Costituzione che gli impediva il terzo mandato. Ma non è più l’uomo nuovo. Quel ruolo ora lo incarna il magnate Bidzina Ivanishvili, l'uomo più ricco di Georgia: è al 185° posto delle classifiche mondiali. I georgiani di Bari tifano Bidzina, ma in sordina. Perché temono conseguenze per i parenti in Georgia. Elza ragiona amaro: «Non avevamo strade né luce né acqua. Ma dopo 200 anni di zarismo e 70 anni di comunismo la gente adesso vuole lavoro, perché altrimenti non c’è futuro». Poi, smorza: «Si parla poco qui a ristorante di politica. I nostri clienti georgiani vogliono mangiare, cantare e ballare. E questo è il più grosso problema. Siamo un punto strategico, vicino alla stazione e al centro, ma non possiamo chiudere all’alba né consentire rumori».
L’ostacolo non è tanto la possibilità di garantire il folklore. Il primo problema è rientrare nell’investimento: «Ho sempre lavorato. E mi sono sposata con un italiano dopo una convivenza di sette anni. Mio marito è di Giovinazzo ma lavora in Algeria. Se abbiamo deciso di investire nel ristorante qui a Bari è anche per provare a cambiare pagina e non stare più tanto tempo lontani. Cerchiamo di avere anche clienti italiani, e da questo punto di vista le cose non sembrano andare male. Questo non è e non deve essere solo un ristorante di cucina tipica, deve dare l’anima della Georgia. Io provengo da una zona dove ci sono molti cattolici armeni. Gli ebrei vi entrarono 26 secoli fa. Il nostro patriarcato ortodosso è più antico di quello russo. E ti assicuro che riusciremo a portare qui anche il regista Gela Babluani (13 Tzameti è il titolo del film che lo ha reso celebre; è stato premiato anche alla mostra del cinema di Venezia e al Sundace film festival, ndr)». Le «geometrie variabili» di Elza hanno sapori e saperi.