Il mito di Narciso (Ovidio Metamorfosi) narra del figlio del dio acquatico Cefiso e della ninfa Liriope. I genitori, appena nato, interrogarono Tiresia sul destino del bambino e l’indovino rispose che «sarebbe vissuto fino a tarda età, se non avesse conosciuto sé stesso». Da adulto, Narciso, per la sua bellezza, fu oggetto della passione di molte fanciulle. Ma restava insensibile, chiuso e inarrivabile. S’innamorò di lui la ninfa Eco che le provò tutte, ma non ottenne più delle altre e, disperata, si ritirò in un’aspra solitudine dove dimagrì fino all’inedia; di lei non rimase, ben presto, che la voce lamentosa, l’eco singhiozzante del gridare dell’amore non corrisposto.
Dopo la morte dell’innamorata anoressica, le giovani disprezzate da Narciso chiesero vendetta agli dèi per quell’ottusa renitenza alla mutualità della passione erotica. Nemesi le sentì e fece in modo che un giorno di grande caldo, dopo la caccia, Narciso si sporgesse su di una sorgente per dissetarsi. Nel limpido specchio delle acque scorse, riflesso, un volto così bello che se ne innamorò all’istante. Insensibile, da quel momento, al mondo circostante, il pastore si piegò sulla sua immagine e si lasciò morire disperato. Delle due l’una: o Narciso crede di vedere un altro da sé nel ruscello, tenta di abbracciarlo e muore affogato o il giovane si accorge che l’acqua riflette le sue perfette fattezze e, quindi, disperatamente comprende che non potrà mai «aversi». Propendo per questa tragica consapevolezza. Dove morì, spuntò un fiore che ebbe il nome di Narciso. Il mito narra la sfida a riconoscere noi stessi al di là dell’angoscia e dell’ansia di perfezionarci ossessivamente. Il tuffo suicida è, in realtà, un “raggiungerci” nel silenzio del gorgo. L’urlo di Eco, evocante in un balbettio il nome dell’amato, commenta la beffa del gioco delle immagini senza voce e delle parole che non riusciamo a vedere. È la frattura speculare che separa le due grandi opere inventate dall’uomo: le immagini e le parole.
Il nesso tra il mito di Narciso e la vicenda dell’uomo d’oggi è che i media interpretano l’antico dramma nel ruolo del lago o dello stagno, dell’acqua riflettente, insomma, come uno specchio, uno specchio informatico. Uomini e donne massa spettatori che ci guardiamo lì, rappresentati dal riflesso mediatico che non è altro che la nostra immagine palustre e diseguale, elettronica e stilizzata, ma sempre la nostra figura, quella che contempliamo e di cui ci innamoriamo inutilmente cadendo nell’ipnosi della ragione. Come lo specchio della perfida regina di Biancaneve, è inutile credergli.
Offre un’immagine della società dissimile dalla realtà, una descrizione stilizzata e abnorme che viene percepita dal pubblico come se fosse la propria potenziale immagine, a condizione di modellarsi su comportamenti indicati, modelli prescritti e bisogni da soddisfare. Nella favola la regina si specchia ogni giorno per avere la conferma del suo primato: Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?. E lo specchio, che rimanda sempre la stessa immagine, ribadisce che sta riflettendo le fattezze della donna in carica per il titolo. Ma viene il giorno in cui annuncia che il primato è caduto, e che un’altra effigie sarà quella riflessa e, quindi, quella della «nuova» più bella del reame: Biancaneve intelligenza artificiale. La metafora implica uno sciame di correlazioni formalistiche e psicanalitiche: il tempo passa, si invecchia, dobbiamo farci da parte, trascurare gli specchi, cedere lo scettro ad altri, far spazio alle odiate nuove generazioni, eccetera. Di fatto, nella favola, lo specchio non riflette più un’immagine all’altezza del ruolo e ne licenzia la titolare senza tanti complimenti. Il volto che la regina vede è il suo ed è sempre più scadente. O non sarà che lo specchio ha una sua immagine stereotipa a cui la regina non somiglia più? E, quindi, Sua Maestà o si adegua o muore?
Sarebbe interessante chiedersi, per il gioco dei paradossi, se l’immagine allo specchio esista e se sia prodotta da qualcuno, oppure se è solo il riflesso di qualcosa. Nel secondo caso non c’è niente da fare: la regina invecchia e l’immagine riflessa dallo specchio sarà la sua, sempre più deteriorata e inadeguata al titolo. Nel primo caso si può trattare. Ed è ciò che fa la sovrana. Solo che Sua Grazia si sbaglia: lo specchio è magico, mostra quello che vuole, specchia il modello di bellezza che ha il primato e non chiunque gli si pari davanti. Il moderno specchio non è tassativo e tratta a condizione che riusciamo ad assomigliare ai modelli che ci propone nella sua cornice. È compito nostro, se non vogliamo essere esiliati dalla favola moderna, quello di «specchiare lo specchio» adeguandoci a quello che ci fa veder lui. Con intelligenza umana. Non accettare il verdetto rompendo lo specchio o attentando all’esistenza del modello non può che creare guai. E infatti la regina non accetta di essere spodestata, tenta di eliminare la new entry Biancaneve. E perde. Altri vivranno felici e contenti.