Le truppe sovietiche sono entrate a Berlino» è il titolo trionfante de «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 24 aprile 1945. L’annuncio è stato dato direttamente dal leader sovietico Stalin: «truppe del primo fronte ucraino, continuando la loro offensiva con l’appoggio di poderose forze d’artiglieria e aeree, hanno fatto irruzione nelle difese tedesche potentemente fortificate». Radio Mosca ha diffuso la notizia che i tedeschi hanno ammassato circa 1000 aerei per la difesa della capitale: in quattro giorni l’Armata rossa, si sostiene dai microfoni sovietici, ne ha abbattuti 411.
Sul fronte italiano, invece, la travolgente marcia degli uomini di Clark ha sconvolto ogni forma di difesa da parte del nemico e ha assunto un ritmo forse mai prima d’ora raggiunto nel corso della Campagna d’Italia. L’attacco finale alleato, iniziato nei primi giorni di aprile, si è mosso su due direttrici: la V Armata in marcia sull’asse Bologna-Piacenza-Milano, l’VIII Armata britannica sul versante adriatico oltre la foce del Po fino a Trieste. A Bologna, liberata da alcune ore, il popolo acclama i liberatori: gli uomini dell’VIII armata guidata dal gen. McCreery sono arrivati nei sobborghi di Ferrara.
Le differenze tra tedeschi e italiani per Azzarita L’articolo di fondo della prima pagina della «Gazzetta», guidata in questi mesi cruciali da Luigi de Secly, è una riflessione al contempo amara e speranzosa sul futuro dell’Italia. Non può essere altrimenti, dal momento che è firmata da Leonardo Azzarita, già direttore del «Corriere delle Puglie» negli anni Venti, poi a capo dell’Ansa: un uomo che ha pagato con la perdita di un figlio il caro prezzo della guerra e della scellerata violenza dei nazisti. C’è una grande differenza tra il comportamento del popolo tedesco e quello del popolo italiano, sostiene Azzarita.
Il primo è caratterizzato da un fanatismo bestiale, dalla cieca obbedienza nei confronti del Führer, evidente anche nell’ostinazione con cui le forze armate conducono questa ultima insensata resistenza. In Italia, invece, il popolo è sempre stato «una massa osannante controvoglia, che viveva della sua sottomissione pavida e screanzata e si compiaceva dicendo barzellette e tirando a campare». E, poi, qui si è avuto il 25 luglio 1943, mentre in Germania la continuità ideologica del fanatismo ha saldato la solidarietà del popolo con i suoi capi e le sue forze armate. Senza negare le responsabilità del fascismo in questa guerra, conclude Azzarita, ora che siamo forse alla vigilia della liberazione del resto dell’Italia, gli Alleati devono tener conto di questa differenza e cambiare radicalmente l’atteggiamento verso il nostro Paese e il suo governo.
















