«Il commosso reverente omaggio di Bari alle salme degli eroici Caduti di Grecia. Una nuova Redipuglia. Un nuovo pegno di fraternità». Il 2 marzo 1953 «La Gazzetta del Mezzogiorno» dedica quasi interamente la prima pagina ad una solenne cerimonia, tenutasi il giorno prima, alla presenza del presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Nel 1953 non è stato ancora eretto il Sacrario militare dei caduti d’Oltremare, ma è comunque Bari il luogo prescelto per accogliere e dare dignitosa sepoltura alle prime mille salme delle vittime del Secondo conflitto mondiale, imbarcate nel porto di Argostoli sulla nave «Stromboli». «È il primo ritorno di una moderna anabasi di morti che si conclude a Bari, su quella stessa riva che da vivi essi lasciarono, sorretti dalla speranza di riportare indietro la vita e la vittoria», si legge sul quotidiano. Dopo che il 28 ottobre 1940 l’Italia di Mussolini aveva invaso la Grecia, proprio dalle coste pugliesi si erano imbarcate, infatti, le truppe coinvolte sul fronte greco-albanese. «Non hanno più mostrine di fanti, di artiglieri, di genieri, di paracadutisti, di camicie nere o di alpini, non hanno fiamme di cavalieri, perché molti dei reparti cui appartenevano sono morti con loro. Sono i morti di Premeti e di Klisura, di Koritza, di Tepeleni, di Cefalonia, di Metsovo, di Gianina».
Quella del 1° marzo 1953 è anche una delle prime occasioni pubbliche in cui si commemora il sacrificio degli eroi di Cefalonia, considerato uno dei primi episodi della Resistenza e certamente mito fondativo della nuova identità italiana emersa dalla guerra e dalla lotta di Liberazione. La gran parte delle salme giunte a Bari appartiene, infatti, ai soldati della gloriosa Divisione Acqui, che, all’indomani dell’8 settembre 1943, si batterono con valore sull’isola greca contro l’ex alleato nazista, a cui non intendevano cedere le armi: dopo otto giorni di accanita resistenza, sopraffatti dalle forze nemiche, gli italiani si arresero e, una volta disarmati, vennero brutalmente giustiziati. Circa 3000 uomini, compresi il generale Gandin e altri ufficiali, persero la vita a Cefalonia: uno dei crimini di guerra più gravi che le unità della Wehrmacht abbiano mai commesso, quello con il più alto numero di vittime italiane, dagli studiosi definito una strage terroristica e preventiva, pensata per dare l’esempio ed evitare che altri militari italiani si comportassero allo stesso modo, scegliendo simili «velleità resistenziali».
Il recupero delle salme - iniziato nel 1948 e non ancora, all’epoca, completato - era stato estremamente complesso: finalmente a Bari vengono accolte con tutti gli onori. Sulla banchina n. 16 del porto, insieme a decine di autorità civili e militari, ci sono i parenti delle vittime e il presidente Einaudi. Dopo la commossa cerimonia, un lungo corteo, con centinaia di giovani studenti delle scuole cittadine, attraversa il lungomare Imperatore Augusto e arriva in piazza Prefettura, dove prendono la parola il Sindaco Francesco Chieco e il vicepresidente del Consiglio Attilio Piccioni: quest’ultimo ha il compito di pronunciare il discorso ufficiale. «Oggi, ora, a conclusione di questa non formale cerimonia, ma di questo supremo atto di amore, come possiamo dar voce al sentimento profondo del nostro popolo? Evocando lo sdegno fino a lasciarlo prorompere in espressioni di odio? Rilevando l’assenza nella strage, di ogni elementare sentimento umano, informata solo a spirito di rappresaglia e vendetta? E dopo? Dopo tutto questo rimarrebbe pur sempre nello spirito e nella memoria di tutti deprecazioni e rancore. Bisogna perciò fare ancora un sacrificio e dire che questi martiri si onorano e si esaltano soprattutto con il proposito di custodire religiosamente il ricordo del loro puro olocausto e di eternarne l’esempio inobliabile».
In linea con il clima di riconciliazione europea del dopoguerra, il democristiano Piccioni sottolinea la necessità di mettere da parte l’odio e il rancore nei confronti dei tedeschi colpevoli e ricordare i martiri come esempi di fedeltà al dovere e di attaccamento alla Patria. In sostanza, si sancisce una volontà politica precisa: non fare chiarezza sui fatti, neanche in sede giudiziaria. Negli anni seguenti infatti, i fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste, istruiti nei primi anni ‘50, non saranno mai trasmessi alle Procure militari competenti per territorio. Fare luce sui fatti dell’8 settembre avrebbe significato inevitabilmente prendere atto anche della condotta italiana in Albania e in Grecia e, in ogni caso, negli anni della Guerra Fredda non si ritiene opportuno inasprire i rapporti con la Germania Ovest, che è ormai un pilastro dell’alleanza atlantica.
La prima e unica sentenza sul caso di Cefalonia, dopo il ritrovamento nel 1994 dei fascicoli occultati nel cosiddetto «armadio della vergogna», verrà emessa nel 2013 con la condanna all’ergastolo del caporale Alfred Stork. Le salme arrivate nel 1953 rimarranno nella Cripta ossario del Cimitero monumentale di Bari fino al 1967, quando verrà inaugurato il Sacrario di via Gentile, dove oggi riposano circa 2000 caduti di Cefalonia. «Bari nella giornata di oggi è fiera dell’onore toccatole: quello di essere per i Caduti che tornano il primo lembo della Patria su cui le loro Salme si poseranno e su cui rimarranno, perché tutti gli Italiani possano piegare la fronte sulle loro tombe», si legge sulla «Gazzetta» di settantadue anni fa.