In caso di reato tributario commesso da un imprenditore, non si toccano le somme sui conti correnti, di altra società, seppure da lui gestita. Purché la società sia estranea al reato. La Corte di Cassazione, in tema di sequestro/confisca del profitto del reato fiscale, ha rimesso sui binari della razionalità questa misura cautelare che negli ultimi anni ha registrato una applicazione non coerente e devastante per i contribuenti.
LA VICENDA La vicenda trae origine dalla contestazione del reato di omessa dichiarazione nei confronti di un “imprenditore individuale”. Nell’ambito dell’esecuzione del sequestro preventivo del profitto del reato, venivano vincolate, oltre alle risorse della ditta individuale, anche le somme nella disponibilità della persona fisica nonché le giacenze di conto corrente di una terza società sul presupposto che l’imprenditore fosse anche rappresentante legale di quest’ultima e avesse, pertanto, la disponibilità delle relative somme di danaro.
L’ORIENTAMENTO DEI GIUDICI Con recentissima pronuncia (n. 24666/2021) la Suprema Corte ha accolto la tesi difensiva della società estranea al reato. È vero che «è costante l'affermazione secondo cui la delega ad operare su un conto corrente intestato ad altri configura certamente il requisito della "disponibilità" (...) ma con la precisazione che se il denaro è della persona giuridica di cui la persona fisica è amministratore è necessario verificare la sussistenza di ulteriori elementi che convincano della "disponibilità"». Infatti, «l'amministratore della società è evidentemente abilitato ad operare sul conto nell'ambito dei suoi obblighi contrattuali con la persona giuridica, con la conseguenza che il saldo “non è tecnicamente nella sua "disponibilità"” essendone lui, appunto, un mero gestore». La "disponibilità", consiste nella «relazione della signoria di fatto dell'indagato o del condannato sul bene» e può essere desunta «anche dalla titolarità di una delega ad operare su conti correnti o altri rapporti bancari». Da sola, tuttavia, la delega non può «ritenersi elemento dimostrativo del potere di esercitare in autonomia le facoltà del proprietario o del possessore delle somme, non foss'altro che per l'esistenza del negozio di mandato che implica il dovere di rendere conto dell'attività svolta al delegante». Nello specifico, non si rinvenivano elementi che potessero sorreggere il convincimento che, attraverso la delega, l'indagato avesse ad esempio prelevato somme da utilizzare per fini personali, ovvero disposto di somme a favore di soggetti estranei all'ambito di attività della società, ovvero eseguito operazioni del tutto estranee all'oggetto sociale utilizzando le somme depositate. Per questi motivi la Suprema Corte ha correttamente annullato il provvedimento di sequestro.
COMMENTO Correttamente i giudici con l’ermellino hanno ritenuto che la delega bancaria non fosse sufficiente a comprovare la piena disponibilità delle somme da parte dell’amministratore. Devesi difatti sempre esaminare il contenuto della delega per verificare l'esistenza di eventuali limiti, e anche laddove non vi siano limitazioni di sorta è comunque sempre necessario verificare la presenza di ulteriori elementi di fatto che supportino la “ragionevole probabilità” della disponibilità delle somme da parte del delegato. È quindi indispensabile un prudente approccio alla realtà fattuale prima di procedere ai sequestri cautelari. Questi infatti possono letteralmente paralizzare e/o annientare intere attività aziendali in attesa del giudizio definitivo. Con risultati spesso devastanti e irreversibili. Ricordiamo, inoltre, che lo strumento del sequestro/confisca ha di recente acquisito ulteriore inquietante pericolosità. Per effetto della recente estensione della disciplina 231 ai delitti fiscali. Cioè ad esempio è all’attualità consentita la confisca per equivalente, anche per tali reati fiscali, nei confronti dell’ente/società, superando il precedente ostacolo operativo della non coincidenza tra autore del reato (amministratore) e soggetto nel cui vantaggio è stato commesso il reato (società). Ovvero con la novella disposizione di cui al d.lgs. 231/01 il sequestro penale rischia di diventare “automatico” in caso di contestazione di delitto tributario. Occorre non solo massima prudenza, ma è consigliabile che le società si attivino nel dotarsi dei cc.dd. “modelli organizzativi, di gestione e controllo” che potrebbero costituire un efficace scudo per contrastare tali invasive misure.