Da almeno dieci anni a questa parte è sufficiente annunciare l’utilizzo del redditometro per scatenare le più indignate reazioni dell’opinione pubblica. La sola pronuncia del termine fa accapponare la pelle, soprattutto in tempi pandemia. Che conseguenze ci saranno sui consumi? Come faranno i contribuenti a difendersi? Quali inaccettabili violazioni della loro privacy dovranno sopportare?
Queste preoccupazioni non sono nuove e altrettanto datato è il dibattito consumatosi sulla riforma dello strumento presuntivo, avvenuta oltre dieci anni addietro ad opera del d.l. 78/2010 che ci ha regalato la «versione 2.0» del redditometro, dai più denominata «nuovo redditometro». Già un decennio fa, il Garante della Privacy aveva levato gli scudi, piantando paletti sul livello massimo di ingerenza nelle vite dei privati sopportabile nell’esercizio della complicata funzione impositiva. Diciamolo subito: le sue raccomandazioni furono recepite e condussero alla disapplicazione di alcune delle presunzioni di cui l’insidioso strumento di controllo si avvaleva. Sono queste le manifestazioni esteriori di un risalente, ma difficoltoso, bilanciamento di valori costituzionali e principi fondamentali, anche di rango europeo; di una continua oscillazione tra la legittima pretesa di non vivere in uno stato di polizia e quella di assicurare che i tributi non vengano assolti solo da parte di chi è più onesto o meno furbo. Proprio con il gettito di quei tributi, del resto, combattiamo il Covid e rilanciamo l’economia. La qualità della spesa compete alla politica ed ogni cittadino dispone del suo voto per valutarla. Ma, a ben vedere, anche l’applicazione delle regole che assicurano il concorso dei contribuenti alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva compete al cittadino e ciò impone agli uffici di verificarne la correttezza dell’operato.
Tra i numerosi e poliformi strumenti di monitoraggio della condotta fiscale e di contrasto dell’evasione, il redditometro si distingue per oggettività :se io ho speso dieci euro devo aver guadagnato, al netto delle imposte, dieci o più euro; se ne ho guadagnati cinque, devo spiegare – nel contraddittorio preventivo e obbligatorio – dove ho preso gli altri cinque: in assenza di spiegazioni o a fronte di spiegazioni non riscontrabili, partirà (solo allora) una contestazione di evasione fiscale. Non importa, allora, di quali spese si tratti: conta solo rilevare quanti euro il contribuente abbia speso o risparmiato, perché se non vi è corrispondenza con quanto dichiarato (sia pure con uno scarto del 20%), qualcosa non quadra. Si capisce subito che nel raffronto tra disponibilità e risparmi o spese «tracciate» lo spazio per gli errori è minimo e si riduce alle conseguenze di alcuni incauti comportamenti di contribuenti che, magari, ricevono denaro da parenti ed amici senza tener traccia di questi prestiti. Problemi nascono, invece, dalla ricostruzione induttiva della capacità di spesa, quella cioè che il redditometro desume più subdolamente da analisi e studi o quella collegata a beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile per una famiglia. Più precisamente, il Mef ha individuato 55 famiglie-tipo in base alla loro composizione, all’età dei componenti, all’area geografica di appartenenza; ma ciò non toglie che il redditometro si avvale comunque di presunzioni, «clusterizzazioni» degli stili di vita, di un «dover essere» o di un «normalmente così è» che potrebbero condurre a risultati non corretti.
Qualche accortezza quotidiana dei contribuenti e una reale buona fede nei loro rapporti con l’Amministrazione finanziaria costituiscono le variabili al cui interno dovrà verificarsi la «tenuta» di un metodo di accertamento di cui tanti percepiscono l’odiosità e solo pochi riescono a comprendere l’importanza. Tenere sotto controllo la coerenza delle spese con i redditi dichiarati non è in sé sbagliato, anzi: permette di indirizzare meglio gli approfondimenti del Fisco e di cogliere con le mani nella marmellata chi, evadendo, fa aumentare il conto da pagare per gli altri. Sarebbe invece sbagliato rendere invalicabili le presunzioni di cui s’è detto o ignorare la prova avversa che i contribuenti e i loro consulenti dovranno saper offrire agli uffici. Ancora una volta la legittimazione del nuovo redditometro discenderà dalla capacità che gli uffici finanziari avranno di celebrare in modo «sostanziale» anziché meramente «formale» il momento più delicato nell’applicazione dell’istituto, ovvero il contraddittorio. Il cerino è dunque acceso!
*Avvocato cassazionista e docente di Diritto Tributario (Università di Bari)