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«Il Redditometro? Può funzionare»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

«Il Redditometro? Può funzionare»

Morina: c’è bisogno di una pace fiscale. E per la giustizia tributaria servono giudici specializzati

Domenica 27 Giugno 2021, 10:00

Tonino Morina, esperto fiscale, docente alla Scuola Superiore di Economia e Finanze di Roma, autore di numerosi testi e collaboratore del «Sole24Ore», qual è la fotografia del sistema fiscale italiano?
«È una fotografia molto confusa, in realtà. E la pandemia, con l’obbligo di smart working, ha reso le cose ancora più difficili. È complesso avere rapporti con gli uffici ma anche con la giustizia tributaria».

Inutile evidenziare a scapito di chi...
«Del cittadino, naturalmente. Nessuno paga, se sbaglia. Non pagano i giudici tributari, per sentenze errate, non pagano i responsabili degli uffici per errori commessi. Paga sempre pantalone, cioè il contribuente. C’è una circolare dell’Agenzia delle Entrate, la n. 4/E del 7 maggio 2021, che illustra una più attenta attività del fisco. Ma è più che altro un libro dei sogni».

E allora da dove si riparte?
«Da quanto detto dal presidente del Consiglio Mario Draghi: non è il momento di prendere, ma di dare. Il Recovery Plan è una occasione preziosissima, per congiuntura e portata anche superiore al Piano Marshall del secondo dopoguerra nel 1947. Ma bisogna fare presto e bene. E, soprattutto, è indispensabile che i soldi a disposizione siano spesi tutti, con onestà e grande senso di responsabilità».

Finora il Governo si è mosso soprattutto con proroghe e rinvii. Una politica necessaria, ma anche efficace?
«Come si dice spesso, una proroga non si nega mai.... Ma di proroga in proroga si crea un accavallamento di adempimenti che non scompaiono, ma attendono il contribuente alla fine delle proroghe concesse. In questi giorni, si sta lavorando ad un nuovo rinvio per spostare di altri due mesi le notifiche delle cartelle sospese fino al 30 giugno 2021. Bene, ma prima o poi si dovranno pagare».

Come si esce dall’imbuto?
«Con una pace fiscale ben congegnata. D’altra parte i numeri solo sul tavolo. Come ha più volte chiarito il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, in magazzino l’agente della Riscossione conta circa mille miliardi di euro da incassare. Tra chi nel frattempo è morto, è fallito o materialmente non può pagare, le somme che si potranno incassare possono variare dal 5 al 6%, cioè dai 50 ai 60 miliardi di euro. L’Agenzia e il Governo lo sanno benissimo. A questo punto, che si incassi quello che è possibile incassare, poi si chiuda tutto e si riparta da zero».

Superato questo passaggio tocca alle semplificazioni?
«Anche qui, attenzione: semplificazione fa rima con complicazione. In particolare, la pandemia ha innescato un pandemonio fiscale: quasi tutti i bonus devono essere riportati nella dichiarazione dei redditi. Una situazione che mi ricorda il celebre “740 lunare” del 1993, per riprendere la definizione di Oscar Luigi Scalfaro».

Tra i tanti rinvii oggi si punta a far slittare anche il 730.
«D’accordo, ma ci risiamo: riformare non è solo dare più tempo, ma mettere ordine. Per fare questo ci vuole un Testo unico, comprensivo di tutte le norme fiscali che ci sono. Più semplicità, uguale più incassi».

Tra le novità in arrivo c’è anche quella del Redditometro che già in passato è stato oggetto di numerose polemiche. Un ritorno al passato, positivo o negativo?
«Direi positivo, semplicemente perché il Redditometro, se ben concepito, può funzionare. Il principio è semplice: ciò che si consuma, la spesa corrente dell’anno, deve essere supportata da un reddito capiente. Non posso comprarmi una macchina da un milione di euro dopo averne dichiarati 20mila, a meno che non riesca a dimostrare di aver ottenuto diversamente quei soldi».

Vero ma torneranno a riproporsi problemi legati alla privacy oltre che al corretto funzionamento del meccanismo.
«Naturalmente le cose funzionano solo se sono fatte per bene, con correttezza e con la partecipazione attiva del contribuente. Ripeto, può essere uno strumento utile. Non si tratta di una brutta bestia».

E quali sono le «brutte bestie»?
«Gli strumenti che funzionano in base a logiche e parametri predeterminati, spesso fallimentari. L’esempio principale, ma non l’unico, sono gli studi di settore. Ricordo quando nel 1997 furono elaborati parametri e coefficienti presuntivi che sarebbero stati la base per gli accertamenti nei confronti delle imprese e dei professionisti. Nei fatti sono stati dei numeri senza gambe e senza alcun fondamento nella realtà. Ecco, quella è la strada da non seguire, ma che, purtroppo, è quella che segue l'amministrazione finanziaria dal 2018, dopo la sostituzione degli studi di settore con gli Isa, indici sintetici di affidabilità fiscale, spesso ancor più inaffidabili».

Per finire, come si può migliorare la giustizia tributaria?
«Per una vera giustizia tributaria sono indispensabili giudici specializzati. La superficialità nella gestione preoccupa non poco in contribuenti. Da più anni si parla di riforma, ma non si fa nulla. Tante parole, nessun fatto concreto: un tipico esempio di gattopardismo. Tutti d’accordo sul fatto che i giudici devono avere “grande competenza, correttezza e professionalità” e che occorre “definire lo status dei giudici tributari” e, soprattutto, fare in modo che abbiano un grado di “specializzazione sempre maggiore”. La dimostrazione che la giustizia tributaria in alcuni casi è affidata a giudici senza grandi competenze è in certe sentenze a sorpresa, probabilmente perché, considerata la ridicola entità dei compensi spettanti, è impossibile chiedere ai giudici di esaminare documenti che richiederebbero anche qualche mese di tempo».

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