Ai bambini non è così difficile spiegare che esiste un grande regno delle cose invisibili, dove dimora anche il tempo. Ed è bello che ci siano libri, come quelli editi da «L’ippocampo», che attraverso la filosofia e l’arte, tentino di spiegare la complessità del concetto di tempo, ma anche il ruolo della filosofia nella costruzione delle metafore. È dunque questo che vogliamo fare: un brevissimo viaggio nel giardino di quelli che, qui, possiamo chiamare, i «quattro tempi». Incontriamo, per primo, il tempo del cervello, con un sentiero fitto fitto di lucine, che si accendono e si spengono, come quelle degli alberi di Natale.
Nel giardino del tempo del cervello, il tempo non scorre mai uguale a se stesso, proprio come in quel famoso fiume di Eraclito. A volte viaggia più veloce del vento, altre assomiglia a una lumaca. Come si misura qui il tempo? Nel cervello va misurato in maniera totalmente «biologica» e, quando si impara una cosa nuova, le lucine si accendono rapidamente e tutte insieme. Quando, invece, si sta sul divano, annoiandosi, il tempo diventa lungo e decisamente meno luminoso. E allora, qualcuno potrebbe dire: il tempo del cervello è uguale al giardino del tempo delle emozioni? Uguale no, ma questi due giardini sono collegati da una grande cascata, in cui l’acqua fa prendere forma alle emozioni, a seconda del momento che si sta vivendo individualmente. Il tempo del giardino delle emozioni cambia ancor più velocemente, corre velocissimo al ritmo del cuore, soprattutto quando si è felici e innamorati. E quando si è tristi diventa un sasso, dove ogni minuto pesa sull’anima.
I giardini restanti si chiamano: universo e orologi. Nel giardino dell’universo c’è la pianura degli infiniti, dove tutto diventa enorme come le galassie, i pianeti, le stelle. Un minuto è paragonabile al battito delle ciglia oppure può durare miliardi di anni. Nell’universo, ad esempio, non esiste la fretta, si brilla per un bel pezzo e poi ci si spegne semplicemente, senza lacrime o funerali. L’universo ha un tempo così grande che nessuno può misurarlo davvero. E’ un tempo che esiste e basta (non è per nessuno, non dipende da nessuno e da nessun appuntamento). Esiste poi il giardino degli orologi, col suo tempo ed esiste un borgo chiamato «la città dei passi precisi».
Che cosa accade da queste parti? Non si sogna, non si sente niente, c’è solo un tic tac costante, che regola le nostre giornate e facciamo di tutto per essere il più possibile in regola con questo brusio di sottofondo. Ci giustifichiamo se siamo in ritardo, ma quel tardare è solo una discrepanza fra noi e quelle lancette da noi stessi create, perché gli uomini, sulla Terra, imparano assurdamente ad amare le loro prigioni. Grazie a Guillaume Duprat e a Olivier Charbonell abbiamo un libro densissimo, che ci aiuta a comprendere e che ci fa porre domande grandi. Il tempo è uguale per tutti sulla Terra? Che differenza c’è fra la durata misurata dagli strumenti e il tempo che percepiamo noi? Perché il tempo è dovunque (dagli smartphone alle sveglie), ma è inafferrabile? E poi, accanto a questo libro, lo stesso editore, ci propone un volumetto di Padro Alcalde, Merlin Alcalde e dell’artista catalano Guim Tiò, dal titolo Metafora. La storia della filosofia in 24 immagini, che si apre con la monumentale frase di Eraclito: «Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume» (ragionamento ricollegabile al tempo) e si continua con Marx, il quale, ben oltre la caverna platonica, intravedeva uno spettro silenzioso, che si aggirava per l’Europa. Con queste profonde suggestioni, si riflette sul concetto di «metafora», su quel modo speciale di parlare per far vedere, con gli occhi della mente, qualcosa che è intoccabile, lasciando che le parole, magicamente, si trasformino in altro. Ed è così che trasformiamo il nostro amico dai piedi veloci «in una saetta» e il nostro gatto dormiente «in una lumachina».
















