Lunedì 03 Novembre 2025 | 01:11

PPP e quell’ora con Ezra Pound

PPP e quell’ora con Ezra Pound

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

PPP e quell’ora con Ezra Pound

Il dialogo tra santi della parola

Domenica 02 Novembre 2025, 18:10

Quando la troupe arrivò in Calle Querini trovò un barbone che dormiva sull’uscio della porta. Si premurarono di scavalcarlo, senza svegliarlo, spandendo pensieri compassionevoli sul pover’uomo riverso al suolo. Il «pover’uomo» era, in realtà, lo scrittore americano Allen Ginsberg che attendeva la benedizione del Poeta per il suo libro Jukebox all’idrogeno. Il Poeta però non concedeva benedizioni, né cercava eredi o nipotini. Non per questo mancava di generosità nei versi come nella vita.

Magro e curvo, bruciato dal Novecento, ma con le radici ben salde nel cielo della Storia, Ezra Pound nel 1968 accolse Pier Paolo Pasolini nella sua casa veneziana per una intervista passata poi alla storia. Un’ora con Ezra Pound come da titolo del documentario realizzato da Vanni Ronsisvalle, i cui spezzoni sono ampiamente rintracciabili in rete. È un confronto di posture e di immagini, prima che di pensiero. Pound, sprofondato nella sua poltrona, balla nei vestiti troppo larghi. Il volto incorniciato dalla barba e dai capelli bianchi: una specie di profeta, di una bellezza sacra fuori dal tempo (un “santo” lo definì Joyce). Ogni risposta è preceduta dal silenzio, dalla fatica, parla piano con quel suo accento americano mai del tutto domato. Pasolini, d’altra parte, si cala per la prima volta nei panni dell’intervistatore abdicando a quelli dell’intervistato. Si avvicina al poeta come figlio e discepolo. Uno scandalo. PPP aveva detestato Pound e pure il suo allievo T. S. Eliot, verso i quali aveva speso parole di fuoco. Ora, invece, affida l’apertura del dialogo proprio ai versi del Poeta: un componimento indirizzato a Walt Whitman che lui rielabora per l’occasione. Cambia il destinatario e il gioco è fatto: “Stringo un patto con te Ezra Pound / Ti detesto ormai da troppo tempo / Vengo a Te come un fanciullo cresciuto che ha avuto un padre dalla testa dura / Sono abbastanza grande ora per fare amicizia”. Il ballo può cominciare.

Balla Pasolini e balla Pound il fascista, condannato dai suoi compatrioti a trascorrere 13 anni in un manicomio criminale per aver propagandato le idee del nemico durante la guerra. Il genio torturato, umiliato, definito pazzo in modo da salvare la sua poesia ma da cestinare la sua economia. Un poeta matto ci sta, un economista pazzo non può essere. Per una volta sottili, gli americani. Ma Pasolini non si avvicina a lui per sdoganarlo. Non è una di quelle anime cenciose che dispensano patenti di umanità dal basso del loro essere in riga con lo spirito dei tempi. Cerca piuttosto qualcosa tra le pieghe dei Cantos, l’opera monumentale che tira giù i versi dalle nuvole e li (s)rotola nella storia, nella politica, nell’economia. Nella carne di un’epica, classica e postmoderna insieme, che oppone il sangue all’oro, il mito alla tecnica. PPP ci vede qualcosa. Arrivano echi dal (suo) futuro. “L’unica contestazione è il passato”, “Nella Tradizione è il mio amore”. Svolazzano le lucciole, i corsari preparano l’arrembaggio. Annusa il profumo della “destra subilme” che è fuori dalle miserie dei parlamenti e dagli scadimenti della storia, pur avendo frequentato talvolta gli uni e gli altri. Dialogano di tutto. L’Italia, la Cina, la parola, la bellezza, la scrittura, i viaggi. È il protoetimo, per così dire, del Pasolini migliore. Non quello dei film falsamente scandalosi, buoni solo a turbare le vecchie zie. Noiose provocazioni da salotto, più che da Salò. Lo scandalo vero è il prender forma del suo amore “invertito” per il passato e per la civiltà contadina, l’avversione per il Nuovo che è il Sacro Graal dei progressisti.  Ma manca ancora qualcosa. Forse è quello che cerca, una lezione, mentre mena il can per l’aia del surrealismo e di altre amenità irrilevanti.

E, alla fine, eccolo. Tra le pieghe di una domanda qualsiasi, discutendo della produzione culturale nell’Italia del Dopoguerra, completamente trasformata sulla via dei Trenta Gloriosi. Pasolini ragiona di “nazioni industrializzate e quindi culturalmente avanzate”. Pound lo ascolta con attenzione. Si prende il suo tempo, poi si accende, come risvegliato. «Lei dice ‘nazioni industrializzate e quindi culturalmente avanzate’ – riflette –… è quel quindi che non mi va». Una sentenza. E una distanza, gigantesca, fra un poeta che si è sciolto nel Mito e uno ancora indurito dagli assiomi del proprio tempo sciagurato. Ma quel quindi Pasolini non lo avrebbe mai dimenticato. Pound gli aveva indicato la Via. Con una parola. Come fanno i poeti, e pure i matti che matti non sono affatto. 

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