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Quei viaggi nella Puglia incantata

Quei viaggi nella Puglia incantata

 
Dorella Cianci

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Dorella Cianci

Quei viaggi nella Puglia incantata

Con un sole antico

Domenica 02 Novembre 2025, 17:59

Pasolini, recandosi a Caserta, scrisse: «Ho alle mie spalle tutte le Puglie, e tu sapessi che cosa sono…». C’erano alcune bozze, mai ultimate, dal giovane Pier Paolo, intitolate: «Le Puglie per il viaggiatore incantato». Partiamo da qui per ricordare che «il sole ferocemente antico» della Puglia e della Lucania esiste e brilla ancora, eppure è completamente mutato, lungo le fisiologiche trasformazioni antropologiche e, soprattutto, attraverso rilanci turistici pubblicitari, che avrebbero fatto storcere il naso a uno dei più grandi intellettuali del Novecento. Per un’esigenza di completezza, vogliamo qui ripercorrere un Pasolini spesso lasciato a margine, quello che si è mosso, con intuito profetico, nel Sud dell’Italia, prim’ancora di riconcorrere il mondo primitivo e mitico delle visioni meridiane. Era il 21 Ottobre del ‘75, quando, qualche giorno prima del suo assassinio, Pasolini parlò in un liceo di Lecce, recandosi, poi, in visita, nel pomeriggio, nella piccola Calimera. È solo uno dei ricordi pasoliniani legati al Mezzogiorno, senza contare le sue amicizie con il poeta Bodini, al quale Pasolini, nel ’68, chiede un sostegno per «Teorema», opera candidata allo Strega. Andando qualche anno indietro, possiamo rintracciare, fra i diversi documenti consultati, alcuni appunti del ’60, in cui scrisse, per la regista di Mola di Bari, Cecilia Mangini, un commento alle riprese di un lamento funebre contadino, girato nel Salento («Stendalì»).

Pier Paolo conosceva già la Puglia e le tradizioni orali contadine. Nel ‘52, scrivendo la prefazione alla «Poesia dialettale del Novecento», disse che la Puglia «è una terra bella come l’Itaca di Ulisse». Torniamo poi a quel 21 ottobre 1975, una vera e propria giornata particolare da cui nacque, molti anni dopo, grazie a tante testimonianza dirette, un documentario semisconosciuto, «Pasolini a Calimera», girato nel 2005 da Elio Paiano, con bellissime foto di Antonio Tommasi. I testimoni raccontano dell’arrivo di Pasolini in Piazza del Sole, alla controra delle ore 14-15; lì erano già collocati cantori e musicisti: quel prezioso ospite, arrivato da Roma, voleva ascoltare i canti in grico e, infatti ascoltò Aremu rindineddha, ma anche Passiuna tu Cristù. Qualcuno ebbe persino l’impressione che Pasolini avesse già una certa familiarità con quel dialetto così bellamente macchiato di greco antico, quella lingua che lui avrebbe fatto studiare nelle scuole medie, ben prima del latino (condividendo quel che scrisse il famoso filologo Pasquali, «Prima il greco, poi il latino» sulla rivista «Pan» nel ‘30). È noto, infatti, che Pasolini ammirasse Pasquali, infatti nel film del ’66, Uccellacci ed uccellini, il corvo rivoluzionario gracchia il nome “Giorgio Pasquali”.

Torniamo al grico. Le fonti raccontano che Pasolini era molto concentrato, in quel pomeriggio salentino, nell’ascoltare i canti e in particolare i «moroloja», dei lamenti funebri solitamente eseguiti dinanzi al corpo del defunto. È decisamente bella una foto di proprietà di Tommasi, dove si vede Pasolini, coi suoi occhiali da sole, mentre ascolta attento, portandosi una mano all’orecchio. Il 21 ottobre uscì un articolo del «Corriere della Sera» su quell’episodio di Calimera, dal titolo A scuola di dialetto (un ulteriore pezzo fu pubblicato, due giorni dopo, col titolo «Pasolini sul dialetto a scuola»). Sono almeno tre i brevi reportage, per ora ritrovati, che ci fanno ripensare all’attrazione pasoliniana verso la terra di Puglia: I nitidi trulli di Alberobello, Visioni del Sud e le due Bari (questi articoli furono scritti fra marzo e agosto del ‘51 su «Il Quotidiano» e su «Il Popolo di Roma»). Di quelle pagine, appena iniziate, colpisce moltissimo quel che scrisse su Alberobello. Non occorre qui un commento, basta semplicemente leggere, ad alta voce, queste parole e pensare ad alcuni luoghi pugliesi, dal sapore kafkiano: «Alberobello è un paese perfetto la cui formula si è fatta stile nel rigore con cui è stata applicata. […] L’ammasso dei trulli nel terreno a saliscendi, sereno e puro, venato dalle strette strade pulitissime che fendono la sua architettura grottesca e squisita. I colori sono rigidamente il bianco – un bianco ovattato e freddo, con qualche striscia azzurrina – e il nerofumo. Ma ogni tanto nell’infrangibile ordito di questa architettura degna di una fantasia, maniaca e rigorosa – un Paolo Uccello, un Kafka – apre una frattura dove furoreggia tranquillo il verde smeraldo e l’arancione di un orto. È il cielo... È difficile raccontare la purezza del cielo, in quella domenica sera, a Alberobello: un cielo inesistente, puro connettivo di luce sulle prospettive fantastiche del paese». Ovviamente è bello citare anche una poesia pasoliniana (decisamente troppo drastica e polemica), scritta mentre era in treno fra Barletta e Foggia, dal titolo «Il Rubicone»: «Il Sud, il Sud. Si sprofondi tutta l’Italia dal Rubicone in su».

Un consiglio di lettura recentissimo: Sono usciti ora, per le edizioni dell’Università del Salento, gli atti di un convegno, curati da F. Moliterni e R. L. Nichil, intitolati Sulle tracce di Pasolini. Il volume si apre con un’introduzione di N. Vendola, che scrive: «Occorrerebbe salvare Pasolini dai pasoliniani, metterlo al riparo dagli apologeti con la stessa intransigenza con cui lo difendiamo dai denigratori».

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