E sono tre, di fila. Tre salvezze, tre imprese, tre lezioni. Di calcio, di vita, di sapienza sportiva e economica. Sostenibilità e obiettivi, la premiata ditta «Sticchi Damiani-Corvino» ha colpito ancora, appiccicando nell’album dei ricordi un’altra foto. Storica. Al culmine di un racconto di tensione, amore, coraggio. Una stagione che si è dipanata con il ritmo della paura e l’urgenza della memoria, poggiata su scelte discusse e alla fine vincenti. Mai fredda, mai banale, mai scontata. Riscaldata, pure, da una contestazione rumorosa e forse senza senso nei confronti di un club e dei suoi dirigenti che, sempre, ci hanno messo denari, competenza e faccia. Un campionato senza filtri, affrontato con determinazione, intuendo subito che non sarebbe stato l’anno di Gotti, offrendo la panchina a Giampaolo, tecnico in cerca di rilancio dopo parentesi negative, liberando pezzi pregiati oggettivamene impossibili da trattenere e allontanando i cattivi pensieri quando qualche club si è avvicinato a Krstovic, pepita d’oro in una squadra che ha segnato col contagocce.
Niente superuomini, solo calciatori che si sono spinti al limite delle proprie possibilità, scoprendo nuove energie nell’ultimo flash di campionato, sette punti in tre partite con il blitz dell’Olimpico che resterà a lungo nella memoria dei tifosi giallorossi.
È forse questo il punto sul quale riflettere e dal quale ripartire. Si è sofferto troppo, si è rischiato fino all’utima giornata, la sfida di Roma quasi fosse una gara di roulette russa. La salvezza, la Serie A, rappresentano un bene eccezionale per tutto il Salento e per tutta la Puglia, visto che quella giallorossa è l’unica formazione a rappresentarci nella massima categoria. Fatti i conti, rimessi a posto i tasselli, non sarebbe male soffrire di meno e provare a mettere su un campionato più sereno.
Quella serenità che a Bari non si vive più da anni. Gli ultimi due, per la precisione, sono stati anni da cancellare, per un motivo o per un altro. Il «peccato originale» resta questa dannatissima «multiproprietà», un insulto al gioco del calcio. Dopo il «trionfo» della mancata qualificazione ai playoff, è calato il silenzio. Solo voci, sussurri, ma nessuno che ci ha messo la faccia. D’altro canto, con il Napoli impegnato a inseguire e vincere uno scudetto meritato ma buttato via dall’Inter, non poteva essere diversamente. Ora, magari, aspetteremo il defluire dei festeggiamenti napoletani per sapere qualcosa circa il futuro biancorosso. Sia chiaro: non bastano le conferme dei «protagonisti» di questa fantastica stagione da poco archiviata...
La verità è che Bari e il Bari non sono minimamente percepite come priorità, ma probabilmente come galassie lontane anni luce. Figli di un dio minore, come spesso si è sentito ripetere in giro. Bari, quella calcistica, non ama i De Laurentiis. Si può ripartire da separati in casa? La risposta è no, non si dovrebbe. Si può ripartire da chi decide di non investire per tentare la scalata? La risposta è no. Si può ripartire da una società che considera Bari come una piccola, dimenticata stazione ferroviaria che spesso si nota nei film di Far West? La risposta è no. Questa città, questa squadra, non possono essere trattate come oggetti inanimati, a metà fra un soprammobile (fino al 2028) e un minerale. Questa città e questa squadra hanno un’anima, una passione e una storia da tutelare. C’è anche un’anima economica che porta soldi nelle casse del club. E qualcuno ha il dovere di intervenire, ovviamente nei modi consoni e consentiti, per ricordarlo ai De Laurentiis.