Sono sempre stato garantista, innanzitutto nei confronti di quelli che non la pensano come me. Non amo il moralismo. Ritengo che alla politica debba concedersi una sua insopprimibile autonomia e che, per questo, il giudizio su di essa non debba coincidere obbligatoriamente con quello penale. Non intendo abdicare a questi principi di una vita. Tuttavia, ricordo, innanzitutto a me stesso, che moralismo e morale sono cose diverse. Così come lo sono garantismo e innocentismo. Per questo, non perdere la laica capacità d’indignarsi è sano. E serve a prevenire il diffondersi di antiparlamentarismo, qualunquismo e populismo.
Mi sono da tempo convinto che in Puglia la politica sia andata oltre il segno. All’origine è la lettura degli atti sui voti comprati in occasione delle elezioni di Bari del 2019. Riguardano tre consigliere comunali: due elette nel centro-destra e una nel centro-sinistra, ritrovatesi poi insieme a sostegno della giunta Decaro. Non è solo il fatto in sé che offende; ancor di più il modo. Al tempo dei rischi connessi a intelligenza artificiale, chat gpt o fake news, quelle carte ci riportano all’immagine, per tanti versi irreale, di un sud arretrato e tribale. Parlano di un mercato nel quale il voto - come si dice al mercato - «va» dai 30 ai 50 euro. Descrivono un vero e proprio stupro ai danni della formazione professionale e persino di alcune università telematiche. Raccontano del prezzo della corruzione calato con nonchalance da un balcone; di documenti compromettenti, notte tempo consegnati a cassonetti di periferia. E attestano anche, per alcuni casi, il coinvolgimento di una criminalità organizzata incurante del colore politico di questo o quel candidato.
Tutto ciò avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme per la classe politica pugliese. Invece, negli anni seguenti, vi sono stati i rimborsi spesa faraonici e, da ultimo, i diplomi taroccati. Si è andati avanti, insomma, con la più assoluta mancanza di sensibilità.
Dopo quanto accaduto, uno dei massimi protagonisti della compravendita pare sia ancora in pista in un comune importante come Triggiano. E il coniuge di chi ha falsificato - per altro maldestramente - un diploma si è recato sul luogo del delitto per un’inaugurazione, come se niente fosse. Ritenendo, evidentemente, «che le colpe delle mogli non debbono ricadere sui mariti».
Per non indulgere in una lettura moralistica e rappresentare la Puglia come un paradiso abitato da diavoli, la spiegazione di questa deriva va ricercata nella politica. Nel fatto che il sistema regionale si è bloccato. La Puglia è la regione d’Italia nella quale è più difficile immaginare un’alternativa. E la circostanza per la quale, quando si vota a livello nazionale, le percentuali s’invertano è un’aggravante.
Consente la coesistenza di una classe politica nazionale con una locale di diverso segno, alle quali lo status quo può anche star bene. Ciò fa sì che per la Regione la partita si giochi in un campo solo. L’altro, al più, fa da sponda. Si vocifera che alle prossime elezioni regionali scenderanno in campo, a sinistra, due ex governatori per divenire semplici consiglieri.
Dove altro può succedere un fatto simile? E cosa significa se non che la partita è tutta interna al campo dei vincitori di ieri, che saranno anche, indiscutibilmente, i vincitori di domani?
Una diagnosi politica richiede rimedi politici. Quel che servirebbe, più di ogni altra cosa, è che il centro-destra torni ad essere competitivo. La smetta con i dissidi interni. La Puglia è lunga e non può avere un dominatore assoluto. Abbandoni una propensione ancillare. Non cerchi rivincite immediate provando a entrare nelle smagliature degli avversari, perché finisce per fare il loro gioco. Provi, piuttosto, a costruire dal basso una classe politica nuova e credibile. Ne trarrebbero beneficio tutti. Perché solo se la regione tornerà ad essere contendibile, la sua politica potrà divenire moralmente più accettabile.