Già a 10 anni dalla sua elezione, si moltiplicarono interpretazioni contraddittorie del pontificato di papa Francesco: mentre i circoli tradizionalisti vi rilevavano devianze dottrinali ai confini dell’eresia, gli ambienti progressisti denunciavano un sostanziale immobilismo rispetto alle esigenze del cambiamento.
Un’analisi, certo provvisoria, basata sul metodo storico-critico, consentirebbe, invece, di cogliere lo spessore reale degli interventi di papa Bergoglio in rapporto all’itinerario compiuto dalla Chiesa - fra analogie, persistenze, scarti e adeguamenti - e di delineare i caratteri del suo pontificato. Irrimediabilmente tramontato il progetto di ricostruire un regime di cristianità, il pontefice «venuto dalla fine del mondo» prese atto che non facilita il dialogo con gli uomini e le donne di oggi una Chiesa guidata dalla primaria preoccupazione di definire gli spazi entro cui si colloca la liceità morale dei loro comportamenti.
Papa Francesco ha, così, sollecitato tutti i battezzati - laici e pastori insieme - a individuare le modalità di un nuovo annuncio del Vangelo, riprendendo quella concezione dell’aggiornamento ecclesiale che, presente nei documenti del Vaticano II, era stata trascurata dai papi post-conciliari, indicandone la fondamentale cifra interpretativa, suggerita dai segni dei tempi: la figura fraterna e misericordiosa del buon samaritano, già emersa nel discorso conclusivo di Paolo VI all’assise ecumenica, ripresa da Bergoglio con fedeltà creativa.
La Chiesa, infatti, non si propone interventi volti a prescrivere i limiti dell’autodeterminazione degli uomini ma, nel pieno rispetto delle scelte da essi compiute, intende contribuire a sanare le ferite che nascono dal loro peregrinare nella storia. La misericordia, la tenerezza, il perdono e la fraternità sono gli aspetti del messaggio cristiano attraverso i quali si può trasmettere il Vangelo ad una modernità che, nel frattempo, ha assunto forme assai più radicali di quelle con cui s’era confrontato il Concilio. Nell’ottica di papa Francesco ciò non significa abbandonare i valori non negoziabili, la legge naturale e l’indicazione di norme etiche vincolanti: ma questi elementi sono collocati all’interno di una scala gerarchica di criteri orientativi per l’apostolato, in cui al vertice viene posto il Vangelo.
Questa prospettiva si sostanzia poi di contenuti concreti e precisi: Bergoglio ha promulgato molteplici misure in relazione alle questioni che via via poneva il governo della Chiesa universale.
Si tratta, soprattutto, di tre temi che lui stesso ha ritenuto significativi per il suo programma. In un’intervista rilasciata ai giornalisti poco dopo la sua elezione, allorché gli venne domandato la ragione della scelta del nome, il pontefice spiegava che, al momento dell’elezione, un amico cardinale gli aveva suggerito di ricordarsi dei poveri; aderendo a questa sollecitazione, aveva pensato che, oltre alla povertà, due altri gravi problemi angustiavano gli abitanti del pianeta: le guerre e la crisi ecologica. E qui vale la pena di notare che ad una figura, fissata nell’immaginario collettivo come interprete del Vangelo «sine glossa», veniva affidata l’espressione esemplare di quei valori ritenuti idonei a restituire alla Chiesa la capacità di comunicare il messaggio cristiano all’uomo d’oggi.
E qui mi soffermo su un aspetto che ha assunto un rilievo particolare nel governo di Bergoglio: egli ha, infatti, presentato l’abbandono del clericalismo, cioè la trasformazione del potere in servizio nello svolgimento delle funzioni ministeriali all’interno della comunità ecclesiale, come una delle vie con cui recuperare quella condizioni di povertà e semplicità voluta da Gesù per la sua chiesa.
Nell’impegno, poi, della pace, egli ha sottolineato spesso che, per un credente che volesse essere coerente col Vangelo, era necessario realizzare un ordine pacifico della vita internazionale, basato sulla pratica della non-violenza attiva: il Vangelo non chiede, infatti, di accettare il male, ma di combatterlo senza ricorrere ai suoi strumenti; esige, insomma, di spezzare il circolo vizioso della violenza. E questo impegno dovrebbe consentire di togliere alla dottrina della guerra giusta, ritornata in auge in questi ultimi anni, uno dei suoi fondamenti etici (la necessità di impedire la vittoria dell’ingiustizia).
La terza questione cui rinvia la scelta del nome Francesco riguarda l’atteggiamento della Chiesa verso l’ecologia. Il ruolo specifico della Chiesa - ha ribadito il papa nella sua Laudato si’ (2015) -, non consiste tanto nell’individuazione delle più appropriate scelte tecniche, ma nell’alimentare la speranza che questo difficile tornante nella vita del pianeta può essere superato attraverso la condivisione delle conoscenze e il confronto sulle vie da percorrere; e ricordando come dai testi vetero-testamentari, spesso presentati come all’origine di quell’antropocentrismo che è all’origine di un rapporto distorto con la natura, emerga soprattutto la tendenza ad affidare all’uomo la custodia e il rispetto dell’ambiente.
Fin dall’inizio, il pontefice, proclamando che il tempo è superiore allo spazio, si proponeva di avviare dei processi. Si può dire che il suo pontificato non solo ha promosso all’interno della comunità ecclesiale un dibattito su temi cruciali per la presenza della Chiesa nel mondo d’oggi, ma ha anche lasciato libertà e tempo, appunto, alla discussione, che è la condizione di un più profondo discernimento, consapevole del fatto che la sua proposta di restituire primazia al Vangelo della misericordia richieda una trasformazione graduale di mentalità sedimentate in mezzo secolo di storia.