Siamo nella settimana santa, prossimi al rito cattolico della resurrezione di Cristo, pronti per scambiarci gli auguri pasquali, e come dei bambini ci disponiamo in attesa di sorprese, auspichiamo non deludenti. Il tutto sembra un déjà-vu, un già visto, vissuto, (spesso avvolto dalla solita retorica), se non fosse che molti esseri umani nel pianeta vivono da tempo la passione, la morte e il dolore come uno stigma. Il mondo occidentale e orientale è in preda a conflitti impari, i nostri destini sembrano legati a un «dazio», si brancola nel buio. Nessun uomo al comando sembra sia pronto a risorgere. C’è morte, ci sono incertezze, violenze, sembrano prevalere sentimenti negativi, ma sappiamo che solo i gesti buoni, i buoni esempi, possono rendere diverso il Paese che abitiamo. Sì, anche questo potrebbe apparire come un già detto, ma in tal caso è vantaggioso ripeterlo, affinché diventi un pensiero agito condiviso dalla gran parte.
Si vivono solitudini, isolamenti. Usciamo, incontriamoci, parliamo. Non va tutto bene e i ristoranti non sono poi così pieni (come esclamava qualcuno) e anche se lo fossero, non riuscirebbero a nascondere il vuoto che attanaglia la gran parte degli individui. Non riusciranno nemmeno i «social» a riempirli. Sicché risulta essere questo il momento propizio, il kairos, per far uso della parola buona, gentile, è quello dell’unità, della solidarietà da parlare, praticare.
Ma la filosofia ci insegna che «parliamo ciò che siamo», perché la parola è espressione dell’essere. Fermiamoci un momento allora a riflettere su chi siamo, cosa rappresentiamo e se stiamo percorrendo il giusto tragitto. Occorre partire dal proprio essere per correggere la parola, conoscersi, migliorarsi e seminare dapprima in sé e di conseguenza nell’alterità per costruire un ambiente nuovo, una comunità solare, creativa, un Paese fruttuoso: occorre lavorare bene il terreno, coltivarlo ogni giorno, praticare l’arte del contadino di un tempo e delle buone maniere, perché parafrasando una celebre espressione nicciana, guai a colui che non è il giardiniere, ma solo il terreno delle sue piante!
Se così fosse - comprenderete - le piante perirebbero o ci sarebbe un giardino pieno di sterpaglie, di erbacce infestanti. Necessita prendere consapevolezza di questo e avere la buona volontà di estirpare il male, di innaffiare il bene e farlo germogliare. Serve una pura ossigenazione. In fondo, cosa c’è di più bello di un prato fiorito o di un giardino variopinto?
Pensate ai quadri di Monet cosa sarebbero senza fiori, colori, pensate a una sopravvivenza grigia, o perfino senza luce. È difficile cambiare la realtà, è vero, soprattutto quando non sempre dipende dal volere di ciascuno, è difficile, ma possibile, iniziando dal proprio vissuto, dando l’abbrivio a un’opera di rinnovamento, di rinascita, di resurrezione per l’appunto: perché infatti, risorgere a nuova vita significa proprio questo. Conoscersi, rinnovarsi, essere generatore di bellezza e chissà che non si troveranno delle gratificanti sorprese. Essere grati alla vita è già il primo passo verso una rinascita, e opporsi a una comunicazione mediatica di morte, omicidi, suicidi, insegnarci ed educare alla vita è la prima parola bella da trasmettere a sé e nell’incontro con gli altri, oltre a far comprendere che la soluzione alle proprie mancanze o frustrazioni non è togliere la vita a un’altra persona, ma far rinascere la propria.