«E adesso, popcorn per tutti» disse Xi Jinping all’indomani dell’elezione di Donald Trump. Invero, la frase, com’è noto, è attribuita a Matteo Renzi che voleva godersi lo spettacolo della contrastata formazione del governo dopo le elezioni del 2018.
Ma non è difficile immaginare il leader cinese e i membri del Politburo che ridacchiano davanti al televisore per le incessanti dichiarazioni di Trump, le acrobazie di Musk e le babeliche sedute dei vertici europei.
Quando lo spettacolo si ammoscia Xi fa un cenno a un suo sottopancia che lascia filtrare la notizia di un’eventuale disponibilità cinese a fornire militari per una forza d’interposizione in Ucraina. Da una parte, panico totale tra Washington e Bruxelles e dall’altra il Politburo del Celeste Impero che si sganascia dalle risate.
Alle porte dell’edificio adiacente alla Città Proibita arrivano camion di popcorn perché la partita sui dazi è assai avvincente.
Gli americani costretti a pagare assai di più tutta la merce elettronica la cui manifattura hanno volontariamente trasferito in Cina - Apple e Tesla comprese - per non parlare di scarpe, jeans, felpe, camicie, giacche a vento e abbigliamento di medio-bassa qualità, persino i cappellini con la scritta Make America Great Again. Anche questi tragicamente Made in China.
Al precipitare delle Borse occidentali nel Politburo c’è scappato l’applauso. Il clima a Pechino è quello di chi si diverte da matti a vedere una sorta di partita tra scapoli e ammogliati. Goffaggini, tiri sbilenchi, tutti in debito d’ossigeno ma quello che diverte di più Xi e compagni è che il pubblico sugli spalti crede che si tratti dei Mondiali.
Tanto per stressare un po’ la Casa Bianca, Xi mette in scena gigantesche esercitazioni navali al largo di Taiwan ma lo fa così, con noncuranza, tanto per vedere l’effetto che fa.
Popcorn a parte, il problema serissimo è che da una parte c’è l’antica sapienza diplomatica cinese non disgiunta dalle aspre sottigliezze di personaggi come il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov di pluridecennale esperienza e dall’altra non si capisce bene che cosa, un cerchio magico trumpiano che non ha più alle spalle quel Deep State che ha garantito agli Stati Uniti una lunga egemonia globale.
Viene in mente, con rispetto parlando, che una sorta di «Grillismoplutocratico» abbia improvvisamente avvinto gli Stati Uniti; una specie di «Uno vale uno» a condizione che sia ricco sfondato.
In Italia, tutto sommato, una «vacanza grillina» potevamo pure permettercela. Dapprima ammaliati, quindi delusi, infine spaventati. Ma la «vacanza grillina» alla Casa Bianca e al Pentagono potrebbe avere effetti tali da far passare a tutti la voglia di popcorn.