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Torna il latino e pure la diffidenza verso il «difficile»

 
Pasquale Vitagliano

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Pasquale Vitagliano

torna il latino e pure la diffidenza verso il «difficile»

Molto rumore per nulla sembrerebbe. Come accade sempre più spesso nelle polemiche pubblico quotidiano sulle questioni nazionali

Mercoledì 12 Febbraio 2025, 13:15

Una delle più rilevanti novità introdotte dalle Indicazioni Nazionali per le scuole del primo ciclo introdotta per il prossimo anno scolastico dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, è il ritorno dell’insegnamento del latino. In via facoltativa, si è subito precisato. Già da anni era facoltativo nelle scuole medie (dopo la sua abolizione nel 1978), è stata la replica.

Insomma, molto rumore per nulla sembrerebbe. Come accade sempre più spesso nelle polemiche pubblico quotidiano sulle questioni nazionali.

Il latino, un’ora alla settimana, per lo più nelle ore pomeridiane e nelle classi di seconda, potrà essere inserito a scelta delle famiglie. Con quale obiettivo? Leggiamo: consolidare le competenze di «problem solving» e rafforzare la consapevolezza del legame fra la lingua italiana e il latino, per «trasmettere l’idea della continuità, il tema importantissimo dell’eredità».

Si è aperto il dibattito. Il latino è una lingua morta. No, sbagliato. Lo studio del latino aiuta a ragionare e indirettamente ci insegna a parlare in italiano. In realtà, spesso si tratta della solita contesa sulla contingenza politica che utilizza il latino come un simbolo per dividersi su altre questioni: conservatori contro progressisti, governativi contro oppositori. Le argomentazioni dell’una o dell’altra opinione restano secondarie. Per esempio, in concreto, ci sono studi scientifici (si tratta di ricerche in prevalenze di area anglosassone) che non supportano in modo significativo l’ipotesi che lo studio del latino nella scuola dell’obbligo accresca le competenze linguistiche e lo sviluppo cognitivo. Un po’ meglio va con l’impatto positivo sull’arricchimento del vocabolario e la comprensione dell’italiano.

Tuttavia, già nel 1956, in occasione del dibattito sull’introduzione della scuola media unica, Concetto Marchesi, interpretando la posizione del Pci, sottolineava l’importanza del latino «per imparare a studiare», riprendendo un concetto già espresso da Antonio Gramsci e spesso richiamato da Luciano Canfora. Il latino, dunque, e tutta la cultura umanistica, era allora considerata strumento di emancipazione e di elevazioni delle classi lavoratrici. Questo tema lo ha di recente ripreso il sociologo Luca Ricolfi che, nel 2016, ha persino firmato un appello a difesa del latino, in quanto «non nascondiamocelo, la domanda degli studenti e delle loro famiglie non è di alzare l’asticella, ma di abbassarla sempre più, come in effetti diligentemente facciamo da almeno quattro decenni. Ed è questo, la tenace volontà di tenerla bassa, il non-detto che accomuna buona parte delle innovazioni nella scuola e nell’università».

Il tema, dunque, non è sull’utilità del latino ma sulla funzione della scuola, come «luogo di socializzazione» o «leva di emancipazione». Il sospetto è che la diffidenza verso il latino non riguardi la sua utilità, ma la sua difficoltà. Con le parole di un altro grande intellettuale di sinistra, Delio Cantimori, abbassare il livello di difficoltà della cultura è la strada sbagliata per aprire la scuola ai ceti popolari. Deve far pensare che nelle attuali polemiche suscitate dal ministro Valditara, queste argomentazioni siano completamente assenti.

Da questo punto di vista, anche l’evoluzione dell’IA può essere un’insidia, se usata come scorciatoia per rendere tutto più facile e a portata di mano (la traduzione immediata di un testo), come, al contrario, può essere uno strumento per rivitalizzare e modernizzare i metodi didattici.

Grazie anche alle nuove acquisizioni delle neuroscienze, la creazione di ambienti virtuali interattivi e chatbot per esercitare la conversazione sono solo degli esempi. Niente di tutto questo è utile. Ed è molto difficile realizzare un sistema educativo avanzato non solo a parole. Ma se l’umanità avesse seguito solo ciò che utile e facile sarebbe rimasta molto indietro nella propria evoluzione. Soprattutto, avrebbe avuto un’esistenza molto più triste.

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