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Un servitore della pace: Lanza del Vasto e la sua eredità preziosa

Un servitore della pace: Lanza del Vasto e la sua eredità preziosa

 
Leo Lestingi

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Leo Lestingi

Un servitore della pace: Lanza del Vasto e la sua eredità preziosa

La figura, l’esperienza e l’attualità del «Gandhi italiano», un testimone originale e fecondo, forse ancora poco conosciuto e studiato, autore di molti testi che andrebbero oggi riletti e riscoperti

Mercoledì 09 Ottobre 2024, 14:01

Un importante e recente convegno, che si è tenuto nello scorso settembre a S. Vito dei Normanni, città natale di Lanza del Vasto (1901-1981), ha riproposto la figura, l’esperienza e l’attualità del «Gandhi italiano», un testimone originale e fecondo, forse ancora poco conosciuto e studiato, autore di molti testi che andrebbero oggi riletti e riscoperti.

Ma chi era Lanza del Vasto, nato da madre belga in seno a un’antica famiglia della nobiltà siciliana? La sua parabola umana e intellettuale si inserisce nella cornice storica dei primi decenni del secolo scorso: giovanissimo, si trasferisce a Parigi, ed è, questa, una fase segnata da uno spirito bohémien e dall’esercizio spensierato di pittura, poesia e musica. Si laurea, successivamente, in filosofia a Pisa nel ’28 con una tesi molto «antiaccademica» dal titolo Gli approcci della Trinità spirituale (il suo relatore fu Armando Carlini) e proprio in quegli anni, attraverso un percorso tanto profondo quanto personale, diventa uno dei più aspri critici del suo tempo e delle sue contraddizioni.

La lettura delle opere di Romain Rolland farà, poi, breccia in una sensibilità carismatica come la sua, che condivide con l’autore francese la «profezia dell’altro» e il rifiuto della violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti. E il vivo desiderio di sondare le profondità inesplorate della natura umana e di immergersi in un universo ricco di richiami trascendenti sarà uno stimolo a visitare luoghi lontani. Il viaggio in India, dove incontra Gandhi (che lo chiamò «Shantidas», servitore della pace), il pellegrinaggio alle pendici dell’Himalaya e sul Monte Athos saranno un percorso di trasformazione, descritto nel suo bel libro Pellegrinaggio alle sorgenti (1943), attraverso le esperienze profetiche, nella semplicità disarmante di un «ritorno all’essenziale» come punto focale della sua costruzione filosofica e del suo discernimento interiore.

Se l’esperienza gandhiana ha certamente un ruolo centrale nella formazione di Lanza del Vasto, non meno importante è il viaggio a piedi in Terra Santa e a Costantinopoli e presso i monaci dell’Athos, perché il contatto con la liturgia e la quotidianità dei «monaci del deserto» ha senza dubbio influenzato la sua visione di «anacoreta della modernità». Inoltre cercherà di approfondire la spiritualità russa, che in quegli anni aveva proprio a Parigi uno dei maggiori centri propulsori per la presenza significativa di una diaspora intellettuale che segnerà profondamente la cultura europea, attraverso la speculazione di Florenskji, Solovev e Berdiaev.

Cattolico indiscutibile, dopo la conversione a 24 anni, Lanza del Vasto è stato l’ecumenista religioso più «spinto» secondo alcuni critici: ma non si tratta di un sincretismo insensato o di una confusione di orientamenti, quanto della ricerca di un «discorso sinfonico» che fosse in grado di avvicinare l’altro in un mondo che stava riducendo le distanze, e avrebbe potuto generare una serie infinita di inutili contrapposizioni fra i popoli e le loro culture millenarie: «La stessa sete di possedere le cose e di soggiogare gli altri ha, come contropartita, l’incapacità di possedersi e di dominarsi», scriverà nel suo Introduzione alla vita interiore (1962).

Famose, poi, sono le battaglie di Lanza del Vasto contro la tortura e per l’obiezione di coscienza fino alle campagne contro la proliferazione nucleare e alla costituzione della sua singolare «Comunità dell’Arca», fondata in Francia nel 1948 e ispirata al biblico Noè: un esperimento coraggioso che all’epoca suscitò vivo interesse e molta curiosità, un tentativo forse utopico di combattere quelli che Lanza del Vasto chiamava i 4 flagelli, cioè la guerra, la sedizione, la miseria e la servitù, ai quali intendeva opporre la non-violenza, la verità, l’onestà totale, la sobrietà, il coraggio, il rispetto di tutte le religioni e il rifiuto di distinguere fra caste e razze.

L’appellativo d Shantidas sembra così cogliere perfettamente il suo pensiero e la sua esperienza, che si offrono ancora oggi ricchi di riflessione per la promozione di una convivenza pacifica, attraverso l’opzione primaria del dialogo e dell’ascolto. Un «pellegrino alle sorgenti», insomma, capace di non abbandonarsi alle comodità ma di sapersi anche parzialmente annichilire per rinascere quotidianamente nella compassione e nella misericordia.

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