Gli eroi del Covid, quelli che s’addormentavano in corsia stremati da turni di lavoro infiniti. Quegli eroi non ci sono più. I medici e gli infermieri che resistono tra le macerie della sanità pubblica sono punching ball per sfogare rabbia, frustrazioni, dolori. Ogni giorno le cronache raccontano di aggressioni al personale sanitario, pugni, calci, camici bianchi barricati e terrorizzati come di recentissimo è avvenuto agli ospedali «Riuniti» di Foggia in seguito alla morte di una ragazza.
È il senso di farsi giustizia da sé, convinti come siamo tutti di essere soli davanti ad uno Stato parassita, a istituzioni lontane, a una legge che non è uguale per tutti. Allora «facciamo Gomorra» secondo una intuizione capovolta. Gomorra è il bene, il resto diventa il male e noi siamo le vittime che nessuno difende. Uccisi da scansafatiche e menefreghisti che ci gettano addosso il lutto, «roba tua, non mia».
La saggezza popolare dice «povero a chi capita» quando la salute non ci accompagna e si deve entrare in ospedale. Se si passa per il pronto soccorso ci si affida alla provvidenza. «Povero a chi capita», poi si trova la persona giusta e va tutto bene, oppure si diventa trottole impazzite, sbattuti da un’accettazione a una sala raggi, in perenne attesa dell’arrivo dello specialista che di solito è un terrorizzato specializzando. A meno che non si è qualcuno, uno importante, un politico, uno con gli amici giusti, un portatore di voti. Allora è più semplice, la vita sorride anche nella malattia, si evitano le code, si evitano gli asini (come accade in tutte le professioni, ci sono anche medici incapaci) e gli infermieri che trattano gli anziani di famiglia quale spazzatura da cui liberarsi in fretta. Mai uno di loro si lamenterà per la malasanità. Mai.
«La morte di una ragazza lascia sgomenti tutti ma la violenza non può avere giustificazioni, chiediamo che negli ospedali sia garantita la sicurezza aumentando il presidio delle forze di polizia: è un principio fondamentale che lo Stato deve assicurare affinché medici, infermieri e operatori socio sanitari svolgano con serenità e professionalità il loro lavoro di cura delle persone», ha detto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, dopo i fatti di Foggia. Ha ragione il governatore. La violenza non è mai giustificabile, sebbene in alcuni casi, però, la si può comprendere. Non giustificare, comprendere.
Quelli che sanno sempre tutto e quindi parlano sempre a vanvera puntano il dito contro una società che si crede perfetta, si illude, una società che non riconosce la morte quale evento naturale. Ma se è naturale morire a novant’anni, non lo è a 23. Certo ci sono le malattie incurabili, gli incidenti e ci sono anche gli errori. Ma a 23 anni non si muore naturalmente. Ed è difficile, probabilmente impossibile, da accettare.
Poi c’è l’altra faccia della medaglia, capovolgendo il fronte. Ovvero un sistema sanitario che da decenni collassa per la mancanza di fondi, di giusti investimenti, di una profondamente errata formazione di quelli che saranno i futuri medici, i futuri infermieri, gli operatori sociosanitari del domani. Ci sono i laureati che rientrano dalle università dell’Albania e della Romania, a volte inetti con cognomi pesanti. Ragazzi trasformati in macchine da soldi, che vedono la sofferenza come un bancomat.
In corsia, negli ospedali pubblici sopravvive un mondo di mezzo, mal pagato, fisicamente distrutto, senza appoggi politici, minacciato quando denuncia che «così non si può andare avanti». L’omicidio della migliore sanità del mondo affidata a manager che nulla sanno, con l’impressione che a volte meno sanno meglio è.
Ci sono due sanità ma su binari divergenti. Quella dei burocrati, degli incarichi, delle cattedre distribuite a piccoli cervelli di ritorno, perché i cervelli veri non torneranno mai. Poi c’è l’altra reale dei turni massacranti, delle strutture impresentabili, le liste di attese infinite. E su tutto, un paradosso che sconcerta: i fondi del Pnrr. In queste condizioni disastrose in cui versa uno dei più importanti servizi che uno Stato dovrebbe concedere ai cittadini sudditi (almeno a quelli che pagano le tasse), si poteva convergere su pochi grandi obiettivi: sanità, scuola, pensioni. Cancellando una volta per tutte il motto che i colletti bianchi hanno preso dalla camorra e fatto proprio: «adesso mangiamo, beviamo, chiaviamo». Al cittadino resta la consapevolezza che persino quando ci sono i soldi, le due sanità continuano a correre su strade sempre più distanti. E la violenza può essere a volte compresa, sebbene mai giustificata soprattutto quando si sfoga sull’obiettivo sbagliato.