Lo incontri e ti spara: «Dottore, se mi faresti un’intervista, sai quante cose ti dico su Bari». Superato lo sgomento immediato, ti chiedi se considera il congiuntivo un pregiudizio borghese. Eppure a prima vista non sembra uno sprovveduto, deve soltanto essere molto convinto del suo condizionale. Ma senza saperlo, è una categoria di barese-tipo purtroppo più diffuso di quanto si creda. Quello non tanto (o affatto) colpevole di zoppicare in sintassi, quanto quello che a migliorarsi non ci pensa affatto. Che fa, dottore, offende la sua città? Che fa, dottore, si crede perché ha una laurea e disprezza gli altri? Ma no, macché, non provenendo fra l’altro lo scrivente dottore da magnanimi lombi. Il dottore rileva soltanto che c’è ancora troppa città non all’altezza di quanto la città meriti.
Lasciamo stare i laureati, la categoria in questo momento più impopolare d’Italia. Figuriamoci che la stessa presidente del Consiglio si è vantata di non esserlo diventando ugualmente ciò che ora è. E nell’America degli odi contrapposti i non laureati contro i laureati sono fra i più agguerriti sostenitori di Trump. Poi da noi sono così sparuti da essere in questa classifica all’ultimo posto in Europa, e il Sud all’ultimo in Italia. E c’è stato un signor Luigi Einaudi a perorare l’abolizione del valore legale di quel titolo di studio a favore di un confronto più fra competenze che fra pezzi di carta. E non era laureato Moravia, pensa te.
Il fatto è che tutto comincia ben prima della laurea. Un terzo dei pugliesi purtroppo abbandona precocemente gli studi. Dispersione scolastica. E c’è un dato Istat secondo il quale nell’area metropolitana di Bari quasi il 60 per cento non ha diploma (o maturità), altro che laurea. Istat, non sondaggi tanto al chilo. La domanda solita è se questo sia causa o effetto di un impoverimento collettivo, essendo spesso la dispersione determinata dalla necessità di lavorare sia pure precariamente. Ma portando anche all’aumento dei minori che delinquono. Vittime delle diseguaglianze sociali oltre che delle disparità nell’accedere all’istruzione. Esempio: sarebbe lo stesso se il Sud non fosse penalizzato dal più basso numero di asili nido pubblici rispetto al Centro Nord?
E però, più che a un congiuntivo, qui siamo a un problema di civiltà. Anzi di civismo. Anche il civismo, sia chiaro, figlio di un contesto, come sottolinea un premio Nobel come Amartya Sen. La sensazione è però che a Bari tanta gente non solo non faccia nulla per migliorare, ma preferisca dare il peggio di sé stessa. Contrariamente alla propria città molto più migliorata di quanto la polemica elettorale voglia negare. Certo si può fare di più, come canta Gianni Morandi. Ma non bisogna aspettare uomini provvidenziali di alcuna taglia perché la città non sia più, ad esempio, una discarica a cielo aperto (ricordando quanto arditamente il povero Simeone Di Cagno Abbrescia sibilò da sindaco: «I baresi sono sporcaccioni»).
Così è illusorio confidare nella fine del «ventennio» del centrosinistra perché la corruzione diventi improvvisamente mani pulite. Né si può affidare a un futuro di sorti magnifiche e progressive la cessazione di ogni trogloditico comportamento. Tipo abbandonare in ogni dove quei totem locali che sono le bottiglie di Peroni. Tipo ritenere la focaccia o il polpo non più alimenti ma bandiere. Tipo la convinzione inveterata per cui l’automobilista barese considera un delitto di lesa maestà fermarsi davanti ai pedoni alle strisce pedonali: «Io mi devo fermare davanti a te?». O tipo la doppia fila («solo un minuto») tranne poi lamentarsi dei ritardi di bus che devono zigzagare invece di percorrere (e che già si devono adattare a una città «newyorchese» con un incrocio ogni cento metri).
E poi, lasciamo stare le baby gang che ormai sono un problema mondiale. Ma davvero spesso per un nulla ti può capitare di tutto, essere investito di violenza o perlomeno volgarità in casi in cui uno «scusi» o un «grazie» sono troppo poco locali per aspettarseli. E facciamoci caso, un giorno qualsiasi in una strada qualsiasi, quanta gente parla in dialetto: detto a costo di inimicarsi i pur giustificatissimi difensori della lingua dei padri. Il fatto è che sono tutte sensazioni di insicurezza in una città molto più attraente e attrattiva di un tempo e con molte più sicurezze sociali comprese. Ma in cui, ultimo ma non ultimo, il vandalismo costa (alle tasse dei cittadini) 3 milioni l’anno.
C’è, fra le civiche virtù dei baresi, l’(in)civica virtù di considerarsi «Io so’ io, e tu chi sei?»: una competitività spicciola a geometria variabile. Una forza (sia pure con la vista corta) quando è indirizzata all’intraprendenza, inventarsene sempre una, non stare mai fermi. Una sguaiatezza quando il confronto è con l’educazione e il rispetto verso gli altri. Risultato per Bari: un futuro davanti, ma certa baresità tutto attorno.