Il Mezzogiorno è fra le aree dell’Unione europea più interessate ai fondi della politica di coesione, prevista dai trattati europei per ridurre, se non annullare, i divari di sviluppo fra le regioni. Nell’Unione, sono presenti 242 regioni, secondo la classificazione statistica europea Nuts (la nomenclatura delle unità territoriali a fini statistici), classificate come Nuts 2. Tali regioni sono la base territoriale per la suddivisione dei fondi europei per la coesione, che riguarda, in maggior misura, le regioni con un livello di PIL pro-capite, a parità di potere d’acquisto, pari, o sotto, il 75% della media dell’Unione.
L’Italia è tra i principali Stati membri dell’Ue che usufruisce dei fondi europei per la coesione. Tali fondi sono destinati soprattutto alle regioni del Mezzogiorno, che è tra le regioni europee meno sviluppate. I fondi europei per la coesione rappresentano risorse aggiuntive rispetto a quelle nazionali: in assenza di tale requisito, gli Stati membri non possono usufruirne.
Ora la domanda è: la politica di coesione, la cui missione è quella di ridurre i divari di sviluppo territoriale, quali risultati ha sin qui raggiunto?
La riduzione dei divari regionali nell’Ue Dal recente rapporto sulla coesione della Commissione europea (marzo 2024), emerge un quadro fatto di risultati di segno diverso. Se si considera l’Ue-27, la risposta alla precedente domanda è positiva. I dati statistici relativi alle 242 regioni Nuts 2, elaborati attraverso il coefficiente di variazione, evidenziano una chiara riduzione del divario fra il 2000 e il 2021. Se si considera l’Ue-15, cioè l’Unione prima dell’allargamento a est, la risposta è negativa: il coefficiente di variazione dei divari, dopo una parziale riduzione fra il 2000 e il 2006, ha ripreso ad aumentare e, nel 2021, ha raggiunto un valore ben sopra il 2000.
L’aumento dei divari regionali in Italia Tra gli Stati membri con un valore dei divari in aumento c’è l’Italia, così come pure emerge da un recentissimo studio di Euro*IDEES, in fase di pubblicazione. Tale studio si è posto l’obiettivo di studiare i divari regionali al livello Nuts 3, cioè a un livello territoriale più basso rispetto alle regioni Nuts 2, un livello che in Italia coincide con le province. Da tale analisi, in generale, emerge che i divari a livello dei territori Nuts 3 sono più ampi rispetto a quelli dei territori Nuts 2.
I divari esterni del MezzogiornoLo studio Euro*IDEES ha poi focalizzato l’attenzione sul Mezzogiorno d’Italia, fra le aree europee che maggiormente ha utilizzato i fondi per la coesione. Nonostante, tale utilizzo, il divario con il Centro-Nord è aumentato in quest’ultimo ventennio: tra il 2000 e il 2022 il PIL reale del Mezzogiorno ha registrato una diminuzione (-0,21% in media annua), a fronte dell’aumento nelle regioni centro-settentrionali (+0,46% in media annua).
I divari interni al Mezzogiorno Ma non è solo il divario Nord-Sud a caratterizzare il Mezzogiorno. Quest’ultimo, in particolare, presenta forti divari interni, anch’essi cresciuti nell’ultimo ventennio. Lo studio Euro*IDEES perviene all’articolazione del Mezzogiorno in quattro categorie di province:
- le province «avanguardia». Si tratta di dieci province che nel 2021 hanno registrato un livello del PIL per abitante e un tasso di crescita superiore alle corrispondenti medie del Mezzogiorno. Si tratta delle province di Cagliari, L’Aquila, Potenza, Bari, Pescara, Teramo, Sassari, Catanzaro, Siracusa e Taranto;
- a questo primo gruppo si contrappone quello di diciassette province denominate «nella trappola del non sviluppo». È il gruppo che associa un livello di sviluppo e un tasso di crescita inferiore alla media del Mezzogiorno e comprende: le province di Catania, Messina, Ragusa, Caltanisetta, Trapani, Enna, Agrigento, Foggia, Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Reggio Calabria, Crotone e Cosenza, Oristano e Sud Sardegna, Benevento e Avellino;
- c’è poi il gruppo di sei province, con un livello di sviluppo superiore alla media del Mezzogiorno, ma un tasso di crescita inferiore al tasso medio meridionale, denominato «in declino», quelle di Campobasso, Isernia, Chieti, Matera, Napoli e Nuoro;
-infine, il gruppo di cinque province che associa un livello di sviluppo inferiore alla media del Mezzogiorno e un trend di crescita positivo, denominato «in via di sviluppo», comprendente Palermo, Salerno, Lecce, Caserta e Vibo Valentia.
Nuovi criteri di ripartizione dei fondi di coesione Alla luce di quanto suddetto, è evidente che il modello dell’attuale politica di coesione funziona parzialmente. In particolare, tale modello non considera adeguatamente i territori infra-regionali Nuts 2, ovvero i territori Nuts 3. Per il Mezzogiorno l’adeguamento dell’attuale modello di ripartizione dei fondi di coesione è una necessità, così da tener maggior conto delle specificità provinciali, oltre ché regionali. Tale adeguamento porterebbe a una diversa allocazione territoriale dei fondi di coesione, premiando le province che qui abbiamo definito «nella trappola del non sviluppo», ma anche quelle definite «in via di sviluppo». Questo diverso modello di ripartizione delle risorse, terrebbe maggior conto delle specificità territoriali, ad un livello più prossimo alle comunità locali, e potrebbe rilanciare il ruolo delle province, quale organo di governo dei territori di area vasta.