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Aborto e tifo politico così il pensiero va in bancarotta

 
Francesco Alicino

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Francesco Alicino

Ma sull’aborto non si faccia propaganda politica

Sulla scena politica italiana, in assenza di ogni disciplina della serietà e della competenza, fioriscono i venditori di ombre

Mercoledì 24 Aprile 2024, 13:37

Sulla scena politica italiana, in assenza di ogni disciplina della serietà e della competenza, fioriscono i venditori di ombre. La loro pervasività è tale da monopolizzare l’agone parlamentare, da tempo oramai ridotto a generatore di tornei deprimenti. Lo testimoniano quelli partoriti dalle leggi talk show: si va dalle norme anti-rave al divieto della carne sintetica non ancora brevettata, dalla stretta sugli eco-vandali al reato universale di maternità surrogata, dalla costruzione di centri di detenzione e rimpatrio in Albania alla farsa della tassa sugli extraprofitti delle banche che, oltre a non aver prodotto nessun gettito per lo Stato, ha creato una perdita di credibilità del sistema Italia. Utili per sostenere bandiere ideologiche e aizzare i supporter, questi interventi si spiegano solo nell’orizzonte di strumentali clamori mediatici.

L’ultimo, in ordine di tempo, fa capo all’emendamento al disegno di legge recante «ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Pnrr», approvato il 18 aprile 2024 dalla Camera dei Deputati e ora in discussione in Senato. Prevede che le Regioni, nell’organizzare i servizi dei consultori attivi nel settore dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), possano «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». La sua entrata in vigore non inciderà sull’odierna realtà socio-sanitaria: in alcune parti d’Italia tali soggetti sono già presenti nei consultori e con finanziamenti regionali; si inseriscono al momento dei colloqui dopo i quali è rilasciato il certificato medico per effettuare l’IVG; la loro presenza è giustificata in nome dell’articolo 2 della legge 194/1978, per cui i consultori possono avvalersi della «collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita». Pertanto, l’emendamento non incide sulle conseguenze concrete dei fatti normativi. Serve solo a sollevare l’ennesima cortina fumogena sulle carenze della politica, incapace di rispondere alle reali esigenze delle persone. Ad attestarlo è proprio la legge del 1978, rimasta per molti versi inattuata per colpa di maggioranze e governi (di centro, di sinistra e di destra) che si sono alternati alla guida della macchina legislativa statale e regionale in questi ultimi cinquant’anni di storia repubblicana.

È quanto emerge dall’ultima relazione del Ministro della Salute sulle «norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza». Qui si afferma che, su tutto il territorio nazionale, le strutture pubbliche con reparto di ostetricia e servizio di IVG sono solo il 60% dei presidi ospedalieri. A ciò si aggiunge il numero di ginecologi obiettori di coscienza, che ammonta a circa il 75% con percentuali ben più alte nelle Regioni del Sud Italia: si arriva al 90%, e non mancano ospedali in cui il 100% dei ginecologi è obiettore. La situazione è tale che in molti contesti vengono prorogati i contratti di non obiettori in età pensionabile. In altri si ricorre a bandi di concorso per l’assunzione di medici che si impegnano a non obbiettare. Il tutto è condito dall’intervento di fazioni ideologicamente orientate e antagoniste, con le inevitabili code di estenuanti ricorsi giudiziari.

D’altra parte, i dati danno conto di una diminuzione degli aborti, segno evidente che la legge 194/1978 ha funzionato, salvando molte donne da soluzioni clandestine e illegali. Lo si deve anche al ruolo dei consultori famigliari, luoghi in cui è possibile informare sulla contraccezione e sul percorso della IVG. Ma, anche qui, i dati registrano un consultorio ogni 35mila abitanti, quando invece la normativa ne prevede uno ogni 20mila. Per non parlare del mifepristone o  pillola RU486 utilizzata, oltre che per la meno invasiva IVG farmacologica, nel trattamento di varie condizioni cliniche quali l’aborto spontaneo, l’aborto incompleto e la morte fetale intrauterina.

Nell’agosto 2020, in piena emergenza pandemica, una  Circolare del Ministro della Salute ha aggiornato le «linee di indirizzo sulla IVG con la RU486». Dopo quattro anni è stata recepita solo da alcune Regioni, peraltro con grandi differenze interpretative. Alcune vedono le autorità pubbliche strumentalmente impegnate a ostacolare l’uso della pillola abortiva per motivi ideologici e non medici.

Insomma, pensato per favorire i movimenti antiabortisti, il suddetto emendamento è servito solo per alimentare grandi e sterili polemiche. Non ultima quella relativa alla sua collocazione in un disegno di legge riguardante il PNRR e la relativa struttura di governance, come ha giustamente rimarcato il portavoce della Commissione dell’Unione europea. Poco importa, si ribatte in patria. Sbattuto sul tavolo delle opzioni etico-identitarie, l’emendamento fornisce un’idonea esposizione mediatica a tifosi di vario genere e caratura. Lo dimostra, fra le altre, la sortita televisiva del 21 aprile 2024 della vicedirettrice del Tg1, Incoronata Boccia, protagonista di dichiarazioni illuminanti e definitive: «L’aborto  è un  omicidio, stiamo scambiando un  delitto  per un  diritto». Notare il riferimento a inequivocabili categorie giuridiche (omicidio, delitto, diritto) combinate in modo da non ammettere dubbi o eccezioni. Neanche, si potrebbe aggiungere, per la donna che ricorre all’IVG perché affetta da gravi patologie: commette comunque un crimine, per giunta con la complicità di medici compiacenti, veri e proprio traditori dell’ippocratico giuramento. Un esempio emblematico del livello cui è ridotto il sistema informativo in generale e il servizio pubblico radio-televisivo in particolare. Specchi di fenomeni politici sempre più regressivi, sono visibilmente incanalati su linee di cinici interessi speculativi, in cui non è raro assistere alla bancarotta del pensiero.

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