La finanziaria 2024 ha previsto la riduzione del Cuneo Contributivo del 7% per tutti i redditi fino a 25 mila euro e del 6% fino a 35 mila euro.
È questo il tentativo, associato ad un primo timido passo di riforma fiscale che prevede l’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito con la tassazione al 23%, di restituire alle fasce deboli di lavoratori ciò che l’inflazione ha tolto in questo ultimo biennio. Dalle tabelle di simulazione dei calcoli si può agevolmente stimare il vantaggio che ne deriverà da queste due manovre combinate, contributiva e fiscale, intorno ai 65 euro al mese.
Il problema è che la vera inflazione in questo ultimo biennio ha tolto di più al potere di acquisto dei lavoratori, specie delle fasce deboli della popolazione, e che il taglio del cuneo è temporaneo, previsto solo per il 2024.
Non c’erano soldi sufficienti e forse anche il taglio temporaneo fatto in extradeficit era un lusso che non potevamo permetterci. Ma tant’è, si è approfittato, in zona Cesarini, dell’intervallo concesso dalla sospensione del vecchio Patto di Stabilità e poco prima dell’entrata in vigore del Nuovo Patto che darà, grazie al sostegno interessato della Germania in chiara recessione, un triennio in più per adeguarsi ai nuovi limiti personalizzati per ogni Paese in termini di rapporti debito pubblico/PIL e deficit/PIL.
Nella sostanza si è preso tempo sperando che grazie all’italico stellone l’inflazione finalmente nel breve scenda verso il target UE del 2% senza che la spirale prezzi/stipendi riparta; il tutto in un contesto di crescita del PIL che sembra già oggi sovrastimato e destinato ad essere rivisto al ribasso.
Purtroppo mentre i prezzi sono ormai saliti e anche se inizieranno a rallentare certamente non scenderanno, gli stipendi reali - dopo questo doping per il 2024 - si ritroveranno inesorabilmente impoveriti dagli aumenti di prezzi ormai acquisiti. In pratica, finita la stagione dei ristori anti-Covid è iniziata la stagione del taglio temporaneo al cuneo anti-inflazione; sempre manovre congiunturali e non strutturali.
Prima o poi bisognerà affrontare strutturalmente il problema che ci vede purtroppo al non invidiabile terzo posto in Europa del rapporto fra imposte e contributi sugli stipendi netti, appunto il cuneo. Bisognerà riuscire ad incidere definitivamente sulle componenti che sono alimentate dal cuneo: debito e spesa pubblica inefficiente, pagate dal livello di tassazione, e sistema previdenziale squilibrato, pagato dai contributi (considerato anche che la pensione non viene intaccata dai minori versamenti previdenziali temporanei).
Bisognerà trovare un modo equilibrato e sostenibile per dare un sostegno alle classi meno agiate di lavoratori senza aggravare la produttività delle imprese in cui lavorano.
Nella realtà il cuneo serve a sostenere dipendenti con stipendi poveri e imprese con scarsi utili che altrimenti dovrebbero chiudere e licenziare. Tuttavia, un’azione lineare di sistema, senza differenziazioni settoriali, ricorda troppo la teoria del pollo di Trilussa in cui mediamente sembra che tutti mangino mezzo pollo ma ci sono quelli che muoiono di fame e quelli che ingrassano. Perché in un percorso di vera razionalizzazione della spesa pubblica, come in ultimo auspicato dallo stesso Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di inizio d’anno, non immaginare un intervento differenziato per settori?
Si è cercato in modo goffo di tassare, inutilmente, gli extraprofitti di settori ad alto valore aggiunto e al tempo stesso, ai dipendenti delle stesse imprese, si concede un taglio temporaneo del cuneo fiscale; appare paradossale. Come dare l’ombrello quando splende il sole. In alcuni settori le imprese non avrebbero bisogno di questo aiuto; anzi sarebbe ora che facessero partecipare in modo concreto i lavoratori alla redistribuzione del valore aggiunto creato. In altri settori invece, spesso quelli labour intensive, l’aiutino diventa indispensabile alla stessa sopravvivenza dell’impresa e dei posti di lavoro.
Le imprese, tutte, vanno aiutate con gli strumenti adeguati ad investire e innovare, a cercare di aggredire mercati più profittevoli, a crescere, e non a sopravvivere stancamente sottopagando il fattore produttivo «lavoro», a meno che non sia indispensabile e temporaneo.
È il momento di innovare, anche alla guida del Paese; il cuneo usiamolo come leva per sollevare il mondo, come auspicava Archimede di Siracusa, non solo come tachipirina per far abbassare la febbre.