Il decreto Sud fortemente voluto dal ministro Fitto è passato alla Camera ed è ora in attesa del voto al Senato per diventare legge. Non ci saranno modifiche, visto l’annuncio del governo che intende porre la fiducia. Quindi, possiamo considerare l’attuale testo come quello definitivo.
Da qui voglio partire per abbozzare una analisi concreta sulle misure previste dal governo Meloni e sul loro impatto sulle imprese e sul rilancio dell’economia nel Mezzogiorno.
In questa sede è opportuno concentrare la nostra attenzione sulla parte del decreto che tratta la ridefinizione dei criteri e delle modalità di impiego e di gestione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2021-2027 tralasciando per ora a successive considerazioni la modifica delle Zone Economiche Speciali.
Le disposizioni che interessano l’intero tessuto produttivo meridionale, sono racchiuse nel Capo I e nel Capo III.
Gli artt.1-6 attengono agli interventi dei Fondi del Pnrr e del Fsc; gli artt.9-17 disciplinano il funzionamento della Zes Unica del Sud.
Il Capo I ridefinisce i criteri per l’impiego e gestione dei Fsc 21/27 da attuarsi mediante la stipula di «Accordi di Coesione» in luogo dei vecchi Piani di Sviluppo e Coesione.
Ad oggi su 20 Regioni e 2 Province Autonome in Italia solo 2, la Liguria di Toti e le Marche di Acquaroli, entrambe «regioni amiche», sono riuscite a sottoscrivere questi accordi; tutte le altre ancora attendono.
Con questi Accordi si devono definire in piena condivisione gli interventi, i tempi, i contenuti, i piani finanziari, i controlli per poter consentire di definanziare tempestivamente i programmi ormai inattuabili a causa dei ritardi cronici di italica abitudine.
È auspicabile sia in fase preventiva che in fase di rendicontazione una collaborazione istituzionale per non penalizzare oltre un sistema produttivo meridionale che per farsi male non ha bisogno di aiuto di terzi.
Specialmente in un momento come quello attuale di riduzione dei consumi «grazie» alla politica monetaria restrittiva della Bce per combattere una inflazione che sarebbe dovuta essere «erratica» nelle attese di Madame Lagarde e che tale non si è dimostrata a posteriori.
Quando le imprese riducono la propria propensione agli investimenti per incertezza e le banche, preoccupate per la propria tesoreria a causa del deflusso del risparmio verso i titoli di Sato, non hanno voglia di sostenere le imprese che chiedono respiro finanziario per il capitale circolante e che vedono peggiorare le proprie probabilità di default.
La tempesta perfetta! Il sistema produttivo italiano in genere e meridionale in particolare non possono assolutamente permettersi di assistere a inopportune guerre di potere fra Governo e Amministrazioni periferiche per il controllo della cassa.
È vero spesso i fondi Fsc sono stati usati a pioggia per interventi che non brillano proprio per efficienza della spesa, ma ora è il momento di buttarsi dietro il passato e di andare avanti in uno spirito di collaborazione istituzionale; con spirito di «concordia» come professava l’indimenticato Ministro di origini pugliesi.
La voglia di controllo e di dirigismo rischia di soffocare il sistema delle imprese che attendono ormai da un anno di poter usufruire delle risorse che la Ue mette loro a disposizione per ridurre il gap di sviluppo.
Come il padre che non si fida del figlio e lo fa crescere insicuro.
Il Sud merita più fiducia. Rompiamo gli indugi.