Sono passate appena tre settimane dal 7 ottobre e sembra che sia passato chi sa quanto. Sarà una guerra lunga e dura ed Israele dovrà mettercela tutta per vincerla, altrimenti sarà un de profundis, ossia cesserà di esistere come Stato.
È una guerra asimmetrica tra uno Stato aggredito, contro a dei miliziani che non sono altro dei terroristi matricolati.
Nell’aggressione ai kibbutz, i terroristi hanno fatto duecentoventi ostaggi che usano come scudi e anche come merce di scambio. Israele dovrebbe liberare i palestinesi e gazwiri nelle sue carceri e Hamas libererebbe gli ostaggi nelle sue mani. Proposta, apparentemente, caduta nel vuoto da parte di Tel Aviv, consapevole che la Casa Bianca sta facendo forti pressioni al Qatar per la liberazione degli ostaggi.
Coloro che tentano di dare alla guerra una curvatura di «scontro di civiltà» tra Occidente e Islam lo fa strumentalmente. Chi ci tenta è turco Erdogan rispolverando lo spirito dell’impero Ottomano. Chi prende le distanze - si fa per dire - è la Guida suprema iraniana Ali’ Kkamenei che smentisce il coinvolgimento iraniano dell’aggressione di Hamas. Tuttavia l’ala dura e pura: i pasdaran la pensano diversamente: «l’entità sionista» dovrà non esistere.
Una attacco inaspettato risultato di una politica di Netanyahu di sottovalutazione di Hamas, forza sunnita legata a doppio filo agli sciiti iraniani e con i qatarini islamici. Il premier israeliano che aveva un sotterraneo rapporto con l’Emiro Al Thani dormiva sonni tranquilli.
Fintanto che non c’è stata l’aggressione, era impensabile che l’Iran dotasse di armi Hamas e il Qatar la finanziasse. Non basta. La monarchia qatarina ha dato il meglio di sè in quanto a doppiogioco: finanzia Hamas e sul suo suolo ospita una base USA e i leader di Hamas.
Si sapeva del feeling, ma non che si arrivasse a tanto, ossia che Tehran è Doha fossero le registe occulte. Anche perché, sunniti e sciiti erano una sorta di nitro gli uni e glicerina gli altri. Si sono combattuti con una lunga «guerra imposta». Iniziò nel 1980 e si concluse nel 1988 e gli scambi dei prigionieri avvenne nel 2003. Saddam Hussein, a capo dello Stato iracheno dittatoriale laico, scatenò, per primo, la guerra all’Iran dittatura teocratica. La cosa paradossale di questa guerra che Israele forni’ armamenti all’Iran. Come gli USA, nel 1986, esponenti dell’amministrazione Reagan vendettero armi a Teheran. Scoppiò lo scandalo Irangate, il cui responsabile era il tenente colonnello Oliver North membro dello staff del Consiglio per la sicurezza nazionale. Vecchia conoscenza italiana, nel 1985, ebbe il compito di arrestare il gruppo di terroristi che aveva dirottato l’Achille Lauro. Questa è un’altra storia.
Dal crollo della dittatura di Saddam Hussein, nel 2003, ricordata come Seconda guerra del golfo - la Prima fu quella dell’invasione dell’Iraq nel Kuwait, 1991, ‘92 - , gli USA fecero un errore madornale sciogliendo l’esercito iracheno che diede vita al cosiddetto Stato islamico. Per inciso, la vendetta gioca, talvolta, per non dire sempre, brutte avventure, come quella dell’invasione in Iraq e in Afghanistan. A dire il vero, ci fu l’11 settembre del 2001, con attacchi civili e militari di Al Qeda, con circa tremila morti di americani, a tal punto che il presidente George W Bush passò al contrattacco, non tenendo conto delle conseguenze. Il presidente aveva sposato i «neo con» la cui teoria è l’esportazione della democrazia in funzione anti terrorismo.
Gli ex ufficiali e gli ex soldati, che nella loro vita aveva fatto solo e soltanto i militari, formarono i miliziani di Daesh che equivale a ISIS di religione islamica sunnita. Si badi che in Iraq i sunniti di Saddam Hussein erano minoranza rispetto alla maggioranza sciita e dopo la dittatura fu eletto il governo sciita, sostenuto dagli USA. A partire dal 2014, l’ISIS conquistò molti territori siriani e iracheni, proclamando la nascita del «Califfato». Chi lo combattette fu l’Iran, oltre agli USA e altri Stati occidentali e arabi. L’ISIS fu protagonista di numerose esecuzioni di massa, di rapimenti e di attentati. La spietatezza con cui operava era criminale di cifra barbarica. Mai si erano viste esecuzioni filmate e propagandate. Insomma, una malvagia organizzazione terroristica mai vista prima. Anche Roma e il Vaticano furono prese di mira. Fece impressione l’immagine di piazza San Pietro sul cui obelisco sventolava la bandiera nera dell’ISIS.
Contro lo Stato islamico, insediatosi in Siria e in Iraq, ci fu l’intervento militare internazionale e la battaglia di Mosul fu una sconfitta cogente dell’ISIS, che lasciò il segno in modo irreversibile.
Strano a dirsi, l’Iran sciita combattette l’ISIS sunnita e oggi si è fatto carico della sunnita Hamas, che ha ereditato il belluino terrorismo degli sconfitti. A ben vedere, è in «felice» compagnia: gli Hezbollah, una organizzazione libanese che usa il terrorismo, in ogni sua azione, religiosamente islamica sciita e antisionista per eccellenza. Per l’odio che hanno nei confronti del popolo ebraico, sunniti e sciiti hanno superato le loro divisioni religiose.
Il paradosso dei paradossi sta nel fatto che l’Iran degli ayatollah è diventata cieca, pur di cancellare dalla faccia della terra il popolo ebraico. Prova ne sia che i russi di Putin hanno soffocato nel sangue i dissidenti islamici ceceni, la Cina ha costretto gli uiguri del Xinijang di minoranza islamica a un internamento di massa, a torture e a persecuzioni.
Ironia dei paradossi, oggi, l’Iran si trova alleata della Cina e della Russia contro Israele.
L’ultimo paradosso: Netanyahu aveva costruito un rapporto con Putin financo a non schierarsi con l’Occidente sulle sanzioni alla Russia e non all’invio di armi in Ucraina.