Sanità, l’arte di non trovare responsabili, perché i responsabili non sono le persone ma la Cosa. Reificazione, detto in buon italiano. Trasformare in oggetto concreto un concetto astratto. È un trucco. Se qualcosa va storto, non ha sbagliato nessuno, è il sistema complesso. È la versione adulta della frase «si è rotto», detta guardando il vaso in mille pezzi. Si è rotto. Da solo.
Applicata alla sanità, la reificazione dà risultati straordinari. Si ammala da sola. Non è colpa di nessuno. È lei che «non funziona» e non è un insieme di decisioni umane, ma una Cosa impersonale e complessa. Un gigantesco elettrodomestico in corto circuito.
È la Cosa, la sanità, che genera i suoi malanni. Le liste d’attesa si formano da sole. Come le stalattiti. Il personale manca e non si sa perché: manca e basta. I bilanci stringono. I sistemi informativi non dialogano; parole impersonali e senza soggetto riconoscibile. La lingua è già assoluzione. A volte capita che qualcosa non funzioni in modo eclatante e la responsabilità non può essere nascosta: in questi casi la colpa non è diretta, ma indotta dal concorso di qualcos’altro. Sempre una Cosa.
Se governi la Regione, la responsabilità è del Governo nazionale: non dà abbastanza soldi e li riduce. Se governa lo Stato, la responsabilità è delle Regioni: spendono male le maggiori risorse che hanno ottenuto.
«Non garantiamo i servizi perché non ci sono risorse». Le risorse: altra entità metafisica. Arrivano o non arrivano, crescono o calano come le maree. Nessuno ha deciso come allocarle, dove sprecarle o dove investirle. Le risorse mancano. Punto. E non ci sono mai notizie su chi le ha allocate male, chi le ha sprecate peggio e chi le ha investite senza criterio.
«Non eseguiamo le prestazioni perché mancano i medici». Anche qui il verbo è rivelatore: mancano. Un fenomeno naturale e non conseguenza di scelte precise su concorsi, contratti, incompatibilità, carichi di lavoro e rivendicazioni sindacali. Ammettere tutto per avere l’abilitazione a non fare nulla.
A questo punto entra in scena la mossa più rassicurante. Qualcuno concede: «Sì, certo, esistono problemi di efficienza». Ed ecco l’elenco rituale, recitato come una litania che non obbliga a nulla: farmaci, dispositivi, attività libero-professionale, manutenzione, frammentazione dei luoghi del potere, assistenza domiciliare, psichiatria, specialistica ambulatoriale, violazioni delle incompatibilità, contributo di ponderazione per pediatri o medici di medicina generale.
Sì, è vero. Tutto vero e noto. Tutto studiato. Ma i problemi più grossi stanno altrove. Sempre più in alto, più lontani, più reificati. Anche l’altrove non è un individuo, ma una Cosa. La Cosa dell’altrove.
Così il problema grande diventa una montagna indistinta: il finanziamento nazionale, la demografia, l’invecchiamento, la complessità del sistema, l’Europa, il mondo e — infine, detto con l’aria di chi si sta giocando l’asso di briscola — «Non siamo gli unici, accade ovunque, in tutte le Regioni». Ovunque, ancora una volta, una Cosa.
Nel frattempo, i problemi «piccoli» — concreti, misurabili, risolvibili — vengono dichiarati marginali. Peccato che la matematica tradisca la metafisica: la somma dei problemi piccoli — sprechi quotidiani, inefficienze tollerate, conflitti d’interesse ignorati, doppie agende, servizi frammentati, poteri diffusi e irresponsabili — è di gran lunga più grande del valore astratto del problema più grande, ossia la Cosa.
Ma questo non si deve dire, perché significherebbe nominare le decisioni mancate e disturbare il potere politico, burocratico e sindacale, che non vuole essere disturbato e lotta per mantenersi nella posizione in cui è.
Così, il Governo non dà, la Regione non riceve e la Sanità non ce la fa. Tre Cose che dialogano tra loro, mentre le persone - quelle dotate di lingua che decidono, gestiscono, controllano, lavorano - spariscono dal quadro come comparse inutili.
E il cittadino, pur non riconoscendo la propria responsabilità dopo aver votato per una Cosa (il partito piuttosto che il candidato), prende atto della lezione fondamentale della reificazione: non arrabbiarti con nessuno, perché non c’è nessuno. C’è solo la sanità. Una Cosa. E le Cose non rispondono.
Eppure molte cose migliorano, e molte persone oggi si curano da terribili malattie, nonostante tutto e diversamente dal passato. E questo accade non perché le «Cose» decidono, ma perché altri uomini aggirano il culto delle Cose inventando tecnologie, frutto della mente di migliaia d’individui che fanno crollare il mondo illusorio della collettivizzazione come tic assolutorio delle responsabilità individuali.
Con un solo limite: la novità tecnologica arriva sempre in ritardo, dopo aver contabilizzato un numero eccessivo di individui che si sarebbero potuti salvare se non si fosse perso tempo a difendere la dittatura delle Cose.
Il mondo procede sulle gambe degli uomini, non sulle ali delle Cose. I concetti collettivi - come lo Stato, il Partito, la Società o la Sanità - sono Cose: non pensano, non fanno e non sono responsabili di nulla. Servono solo a fare in modo che i responsabili non abbiano colpa.
















