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Manovre internazionali e strategie nazionali dietro il caro-benzina

 
angela stefania bergantino

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angela stefania bergantino

Manovre internazionali e strategie nazionali dietro il caro-benzina

La situazione si è aggravata dopo lo scoppio dell’ennesima guerra israelo-palestinese

Mercoledì 25 Ottobre 2023, 14:52

Perché il prezzo della benzina resta alto? La risposta sembra semplice: a causa dell’instabilità internazionale che si aggravata dopo lo scoppio dell’ennesima guerra israelo-palestinese, il 7 ottobre. In realtà le cose sono più complesse.

Gli Stati Uniti, che sono ormai tra i maggiori produttori di petrolio al mondo, hanno tolto pochi giorni fa le sanzioni contro il Venezuela, per un periodo di prova di sei mesi. L’occasione è stata un accordo trovato tra il presidente venezuelano Maduro e l’opposizione per la calendarizzazione di elezioni presidenziali per il 2024: questo ha consentito agli USA di aprire un credito nei confronti del Venezuela e del suo governo sgradito a Washington.

Ma soprattutto di creare le basi per un’espansione della produzione petrolifera nel Paese dell’America meridionale, che si stima abbia il più grande potenziale di produzione di greggio al mondo. Il fine economico della manovra USA è quello di cercare di contenere la crescita globale dei prezzi petroliferi, che mantiene alta l’inflazione statunitense e di conseguenza elevatissimi i tassi di interesse del debito pubblico che lo Stato americano paga ai sottoscrittori. In un periodo in cui l’amministrazione Biden è fortemente impegnata a sostenere l’Ucraina e ora Israele – nel discorso all’Unione dell’altra notte il presidente ha promesso altri 100 miliardi di dollari di aiuti – pagare anche interessi crescenti sul debito equivale a svuotare ulteriormente le casse federali.

La notizia della sospensione delle sanzioni contro il Venezuela è stata tuttavia accolta molto tiepidamente dai mercati. Altri fattori vanno infatti nella direzione contraria.

La nuova guerra in Medio Oriente certamente aumenta l’instabilità dell’area, ma ha più effetti indiretti che diretti. Né Israele né tanto meno i territori dell’Autorità palestinese sono produttori petroliferi, e quindi non c’è alcun impatto in termini di diminuzione della produzione globale.

Più pericoloso è invece il coinvolgimento nel conflitto, sebbene indiretto, dell’Iran, che ha espresso il suo sostegno ad Hamas ed ha in Hezbollah ai confini settentrionali di Israele un fedelissimo alleato. Iran e Arabia Saudita transitano parte della loro produzione petrolifera attraverso il Golfo Persico e il Canale di Suez, dunque in aeree limitrofe a quelle del conflitto.

Tutto ciò, naturalmente, rende gli investitori sospettosi e il mercato petrolifero, che è fortemente speculativo, instabile.

Più importante, tuttavia, è stata la decisione dell’Arabia Saudita di tagliare da luglio la produzione di alcune centinaia di migliaia di barili al mese. Assieme alla diminuzione della produzione di russa, che continua dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, questa è probabilmente la variabile che impatta maggiormente sui prezzi mondiali del greggio, che sono saliti di alcune decine di punti percentuali dall’estate scorsa.

Infine, dopo la fine della pandemia, i trasporti, soprattutto aerei, sono ripartiti quasi raggiungendo, a livello mondiale, i livelli pre-pandemia e questa impennata della domanda ha avuto il prevedibile effetto di mantenere i prezzi alla pompa (o al sebatoio degli aerei) elevati.

Paradossalmente, i Paesi come l’Italia che hanno una forte componente fiscale sul prezzo finale dei carburanti risentono meno di questi aumenti, perché essendo le tanto vituperate accise una componente fissa, in qualche misura “compensano” l’aumento del prezzo sul mercato. Si potrebbe dire che i consumatori italiani sono già abituati a pagare un prezzo del carburante elevato. Ma l’esito per lui non cambia: fare il pieno della macchina, del furgone da lavoro ecc. costa sempre di più, e i picchi a cui si era arrivati di due euro al litro, che sembravano irrealistici, si stanno stabilizzando come strutturali.

Certo, ci sarebbe l’ipotesi di ridurre le accise, ma il governo ha scelto un’altra strada, quella del bonus, anche perché altre soluzioni, come quelle attuate dal governo Draghi, sono esose per le casse dello Stato.

In una finanziaria che, dopo alcuni anni, torna ad essere un esercizio di equilibrismo non ci si possono permettere mosse false.

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